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Автор Тема: Новости Ватикана  (Прочитано 57945 раз)

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #415 : 05 Июня, 2022, 15:15:09 »
Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.                   Александр Набабкин-Романюк.
Le parole del Papa alla recita del “Regina Cæli”, 05.06.2022
Alle ore 12 di oggi, Domenica di Pentecoste, il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Caeli con i fedeli ed i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:



Prima del Regina Cæli
                   Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!
                  E oggi anche buona festa, perché oggi si celebra la solennità di Pentecoste. Si celebra l’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua. Gesù lo aveva promesso più volte. Nella Liturgia odierna il Vangelo riporta una di queste promesse, quando Gesù disse ai discepoli: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Ecco cosa fa lo Spirito: insegna e ricorda quanto Cristo ha detto. Riflettiamo su queste due azioni, insegnare e ricordare, perché è così che Egli fa entrare nei nostri cuori il Vangelo di Gesù.
                  Anzitutto lo Spirito Santo insegna. In questo modo ci aiuta a superare un ostacolo che si presenta nell’esperienza di fede: quello della distanza. Lui ci aiuta a superare l’ostacolo della distanza nell’esperienza di fede. Infatti, può sorgere il dubbio che tra il Vangelo e la vita di tutti i giorni ci sia molta distanza: Gesù è vissuto duemila anni fa, erano altri tempi, altre situazioni, e dunque il Vangelo sembra superato, sembra inadeguato a parlare al nostro oggi con le sue esigenze e i suoi problemi. Viene anche a noi questo interrogativo: cosa può dire il Vangelo nell’epoca di internet, e nell’epoca della globalizzazione? Come può incidere la sua parola?
                Possiamo dire che lo Spirito Santo è specialista nel colmare le distanze, Lui sa colmare le distanze; ci insegna a superarle. È Lui che collega l’insegnamento di Gesù con ogni tempo e ogni persona. Con Lui le parole di Cristo non sono un ricordo, no: le parole di Cristo per la forza dello Spirito Santo diventano vive, oggi! Sì, Lo Spirito le rende vive per noi: attraverso la Sacra Scrittura ci parla e ci orienta nel presente. Lo Spirito Santo non teme lo scorrere dei secoli; anzi, rende i credenti attenti ai problemi e alle vicende del loro tempo. Lo Spirito Santo, infatti, quando insegna, attualizza: mantiene la fede sempre giovane. Noi rischiamo di fare della fede una cosa da museo: è il rischio! Lui invece la mette al passo coi tempi, sempre al giorno, la fede al giorno: è questo il suo lavoro. Perché lo Spirito Santo non si lega a epoche o mode che passano, ma porta nell’oggi l’attualità di Gesù, risorto e vivo.
                E in che modo lo Spirito fa questo? Facendoci ricordare. Ecco il secondo verbo, ri-cordare. Cosa vuol dire ricordare? Ri-cordare vuol dire riportare al cuore, ri-cordare: lo Spirito riporta il Vangelo nel nostro cuore. Avviene come per gli Apostoli: avevano ascoltato Gesù tante volte, eppure lo avevano compreso poco. A noi succede lo stesso. Ma da Pentecoste in poi, con lo Spirito Santo, ri-cordano e comprendono. Accolgono le sue parole come fatte apposta per loro e passano da una conoscenza esteriore, una conoscenza di memoria, a un rapporto vivo, a un rapporto convinto, gioioso con il Signore. È lo Spirito a fare questo, a far passare dal “sentito dire” alla conoscenza personale di Gesù, che entra nel cuore. Così lo Spirito ci cambia la vita: fa sì che i pensieri di Gesù diventino i nostri pensieri. E questo lo fa ri-cordandoci le sue parole, portando al cuore, oggi, le parole di Gesù.
               Fratelli e sorelle, senza lo Spirito che ci ricorda Gesù, la fede diventa smemorata. Tante volte la fede diventa un ricordo senza memoria: invece la memoria è viva e la memoria viva la porta lo Spirito. E noi – proviamo a domandarci – siamo cristiani smemorati? Magari basta una contrarietà, una fatica, una crisi per dimenticare l’amore di Gesù e cadere nel dubbio e nella nostra paura? Guai! Stiamo attenti a non diventare cristiani smemorati. Il rimedio è invocare lo Spirito Santo. Facciamolo spesso, specialmente nei momenti importanti, prima delle decisioni difficili e in situazioni non facili. Prendiamo in mano il Vangelo e invochiamo lo Spirito. Possiamo dire così: “Vieni, Santo Spirito, ricordami Gesù, illumina il mio cuore”. È una bella preghiera, questa: “Vieni, Santo Spirito, ricordami Gesù, illumina il mio cuore”. La diciamo insieme? “Vieni, Santo Spirito, ricordami Gesù, illumina il mio cuore”. Poi, apriamo il Vangelo e leggiamo un piccolo passo, lentamente. E lo Spirito lo farà parlare alla nostra vita.
            La Vergine Maria, piena di Spirito Santo, accenda in noi il desiderio di pregarlo e di accogliere la Parola di Dio.

Dopo il Regina Cæli
          Cari fratelli e sorelle,  a Pentecoste il sogno di Dio sull’umanità diventa realtà; cinquanta giorni dopo la Pasqua, popoli che parlano lingue diverse si incontrano e si capiscono. Ma ora, a cento giorni dall’inizio dell’aggressione armata all’Ucraina, sull’umanità è calato nuovamente l’incubo della guerra, che è la negazione del sogno di Dio: popoli che si scontrano, popoli che si uccidono, gente che, anziché avvicinarsi, viene allontanata dalle proprie case. E mentre la furia della distruzione e della morte imperversa e le contrapposizioni divampano, alimentando un’escalation sempre più pericolosa per tutti, rinnovo l’appello ai responsabili delle Nazioni: non portate l’umanità alla rovina per favore! Non portate l’umanità alla rovina per favore! Si mettano in atto veri negoziati, concrete trattative per un cessate il fuoco e per una soluzione sostenibile. Si ascolti il grido disperato della gente che soffre - lo vediamo tutti i giorni sui media - si abbia rispetto della vita umana e si fermi la macabra distruzione di città e villaggi nell’est dell’Ucraina. Continuiamo, per favore, a pregare e a impegnarci per la pace, senza stancarci.
           Ieri, a Beirut, sono stati beatificati due Frati Minori Cappuccini, Leonardo Melki e Tommaso Giorgio Saleh, sacerdoti e martiri, uccisi in odio alla fede in Turchia rispettivamente nel 1915 e nel 1917. Questi due missionari libanesi, in un contesto ostile, diedero prova di incrollabile fiducia in Dio e di abnegazione per il prossimo. Il loro esempio rafforzi la nostra testimonianza cristiana. Erano giovani, non avevano 35 anni. Un applauso ai nuovi Beati!
           Ho appreso con soddisfazione che la tregua nello Yemen è stata rinnovata per altri due mesi. Grazie a Dio e a voi. Auspico che questo segno di speranza possa essere un ulteriore passo per mettere la parola fine a quel sanguinoso conflitto, che ha generato una delle peggiori crisi umanitarie dei nostri giorni. Per favore non dimentichiamo di pensare ai bambini dello Yemen: fame distruzione, mancanza di istruzione, mancanza di tutto. Pensiamo ai bambini!
             Desidero assicurare la mia preghiera per le vittime delle frane causate dalle piogge torrenziali avvenute nella regione metropolitana di Recife, in Brasile.
               Saluto tutti voi, romani e pellegrini! Saluto l’Associazione “Avvocatura in missione”; i membri del Movimento Internazionale Riconciliazione e del Movimento Nonviolento; il gruppo di Scout francesi “Saint Louis”, la Società di San Vincenzo de Paoli e la fraternità Evangelii Gaudium. Saluto i fedeli di Piacenza d’Adige, il Coro di Castelfidardo, i ragazzi di Pollone e quelli di Cassina de’ Pecchi – ricordo quando ho visitato questi luoghi tanti anni fa -, i pellegrini provenienti dai Santuari Antoniani di Camposampiero e i ciclisti di Sarcedo e anche saluto i ragazzi dell’Immacolata.
             Esprimo la mia vicinanza ai pescatori, pensiamo ai pescatori che, a causa dell’aumento del costo del carburante, rischiano di dover cessare la loro attività; e la estendo a tutte le categorie di lavoratori gravemente penalizzati dalle conseguenze del conflitto in Ucraina.
            Io prego per voi, voi pregate per me. A tutti auguro una buona domenica. Buon pranzo e arrivederci.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/05/0433/00895.html
« Последнее редактирование: 05 Июня, 2022, 15:17:39 »

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« Ответ #416 : 06 Июня, 2022, 21:01:00 »
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Udienza ai partecipanti alla Sessione Plenaria del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, 06.06.2022


Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla Sessione Plenaria del Dicastero per il Dialogo Interreligioso e ha rivolto loro il discoro che pubblichiamo di seguito:
Discorso del Santo Padre
Signori Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato,
cari sorelle e fratelli!
                     Vi do il mio benvenuto cordiale e ringrazio il Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot per le parole che mi ha rivolto a nome vostro. Sono lieto di incontrarvi in occasione della Sessione Plenaria del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, all’indomani della solennità di Pentecoste.
               Sottolineo questo perché San Paolo VI annunciò la nascita del “Segretariato per i non cristiani” nell’omelia di Pentecoste del 1964, durante il Concilio Vaticano II. Lo fece prima della promulgazione della Dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, e prima dell’Enciclica Ecclesiam suam, considerata la magna charta del dialogo nelle sue varie forme. Quanta strada lo Spirito ha fatto fare in quasi sessant’anni! L’intuizione di Papa Paolo si basava sulla consapevolezza dello sviluppo esponenziale delle relazioni tra persone e comunità di diverse culture, lingue e religioni – un aspetto di ciò che oggi chiamiamo globalizzazione –; e poneva il Segretariato «nella Chiesa come segno visibile e istituzionale del dialogo» con le persone di altre religioni (Discorso ai Membri e ai Consultori del Segretariato, 25 settembre 1968). Questo, il 25 settembre del 1968.
             È appena entrata in vigore la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium sulla Curia Romana, e questo settore del suo servizio alla Chiesa e al mondo non ha perso nulla della propria rilevanza. Al contrario, la globalizzazione e l’accelerazione delle comunicazioni internazionali rendono il dialogo in generale, e il dialogo interreligioso in particolare, una questione cruciale. Ritengo molto opportuno che, per questa Plenaria, abbiate scelto il tema Dialogo interreligioso e convivialità, nel momento in cui tutta la Chiesa vuole crescere nella sinodalità, crescere come «Chiesa dell’ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare» (Praed. Ev., 4). Insieme a tutta la Curia, potrete così fare vostro «il paradigma della spiritualità del Concilio espressa nell’antica storia del Buon Samaritano», secondo la quale «il volto di Cristo si trova nel volto di ogni essere umano, specialmente dell’uomo e della donna che soffrono» (ibid., 11).
             Il nostro mondo, sempre più interconnesso, non è altrettanto fraterno e conviviale, tutt’altro! In questo contesto il vostro Dicastero, «consapevole che il dialogo interreligioso si concretizza mediante l’azione, lo scambio teologico e l’esperienza spirituale, … promuove tra tutti gli uomini una vera ricerca di Dio» (ibid., 149). Questa è la vostra missione: promuovere con altri credenti, in modo fraterno e conviviale, il cammino della ricerca di Dio; considerando le persone di altre religioni non in modo astratto, ma concreto, con una storia, dei desideri, delle ferite, dei sogni. Solo così potremo costruire insieme un mondo abitabile per tutti, in pace. Di fronte al susseguirsi di crisi e conflitti, «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati, altri la affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo» (Enc. Fratelli tutti, 199).
           Ogni uomo e ogni donna è come una tessera di un immenso mosaico, che è già bella di per sé, ma solo insieme alle altre tessere compone un’immagine, nella convivialità delle differenze. Essere conviviali con qualcuno significa anche immaginare e costruire un futuro felice con l’altro. La convivialità, infatti, riecheggia il desiderio di comunione che alberga nel cuore di ogni essere umano, grazie al quale tutti possono parlare tra loro, si possono scambiare progetti e si può delineare un futuro insieme. La convivialità unisce socialmente, ma senza colonizzare l’altro e preservandone l’identità. In questo senso, ha una rilevanza politica come alternativa alla frammentazione sociale e al conflitto.
          Incoraggio tutti voi a coltivare lo spirito e lo stile di convivialità nei vostri rapporti con le persone di altre tradizioni religiose: ne abbiamo tanto bisogno oggi nella Chiesa e nel mondo! Ricordiamo che il Signore Gesù ha fraternizzato con tutti, che ha frequentato persone considerate peccatrici e impure, che ha condiviso senza pregiudizi la tavola dei pubblicani. E sempre durante un pasto conviviale Egli si è mostrato come il servitore e l’amico fedele sino alla fine, e poi come il Risorto, il Vivente che ci dona la grazia di una convivialità universale. Questa è la parola che io vorrei lasciarvi: convivialità.
           Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per il vostro lavoro, specialmente per quello più nascosto, meno appariscente, e a volte forse anche un po’ noioso. La Madonna vi accompagni e vi custodisca nella piena docilità allo Spirito Santo. Benedico di cuore ciascuno di voi e i vostri famigliari. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!
                 https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/06/0434/00898.html

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« Ответ #417 : 07 Июня, 2022, 16:54:00 »
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Lettera del Santo Padre ai partecipanti all’Incontro di Santarém (IV Encontro da Igreja Católica na Amazônia Legal), 07.06.2022
Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato ai partecipanti all’Incontro di Santarém (IV Encontro da Igreja Católica na Amazônia Legal) che ha luogo dal 6 al 9 giugno:
Lettera del Santo Padre

           
             Cari fratelli e sorelle,
             Con il cuore colmo di gioia e di speranza, mi rivolgo a tutti i partecipanti al IV Incontro della Chiesa cattolica nell’Amazzonia legale, poiché è motivo di particolare incoraggiamento per me sapere che sogniamo insieme “comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici” (Querida Amazonia, n. 7). Al tempo stesso, sapere che questo incontro fa memoria di quello tenutosi 50 anni fa nello stesso luogo, in occasione dell’intensa azione di rendimento di grazie all’Altissimo per i frutti dell’azione del Divino Spirito Santo nella Chiesa che è in Amazzonia - durante questi ultimi cinque decenni – e per quanto la stessa ispira.
           Quell’“Incontro di Santarém” propose linee di evangelizzazione che segnarono l’azione missionaria delle comunità amazzoniche e che contribuirono alla formazione di una solida coscienza ecclesiale. Le intuizioni di quell’incontro sono servite anche a illuminare le riflessioni dei padri sinodali, nel recente Sinodo per la regione Panamazzonica, come ho ricordato nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Querida Amazonia, nel descriverlo come una delle “espressioni privilegiate” del camminare della Chiesa con i popoli dell’Amazzonia (cfr. QA, n. 61). Di fatto, nelle note “linee prioritarie”, frutto del ricordato incontro, si trovano delineati i sogni per l’Amazzonia che sono stati riaffermati nell’ultimo sinodo (cfr. QA, n. 7).
            Mi rallegro anche per l’impegno delle Chiese particolari dell’Amazzonia brasiliana, attraverso le loro comunità, nel portare avanti le indicazioni dell’ultima Assemblea sinodale, testimoniando al tempo stesso, attraverso la già radicata e bella tradizione degli incontri delle Chiese locali, l’esperienza della sinodalità - come espressione di comunione, partecipazione e missione – alla quale tutta la Chiesa è chiamata. Ricordo con affetto e con gratitudine l’intensa partecipazione di quanti sono venuti dal Brasile a Roma per le sessioni del Sinodo del 2019, portando vitalità, forza e speranza.
           Siate coraggiosi e audaci, aprendovi con fiducia all’azione di Dio che ha creato tutto, ci ha dato se stesso in Gesù Cristo (cfr. QA, n. 41), e ci ispira attraverso lo Spirito ad annunciare il Vangelo con nuovo impegno e a contemplare la bellezza del creato, ancora più esuberante in queste terre amazzoniche, dove si sperimenta la presenza luminosa del Risorto (cfr. QA, n. 57).
          Nel depositare tali voti ai piedi di Nossa Senhora de Nazaré, Regina dell’Amazzonia – che non ci abbandona mai nelle ore scure (cfr. QA, n. 111) - vi invio di tutto cuore, cari fratelli e sorelle, la Benedizione Apostolica, chiedendovi anche, per favore, di continaure a pregare per me e per la missione che il Signore mi ha affidato.
Roma, San Giovanni in Laterano, 31 maggio 2022
                                                                                                                                                                FRANCISCUS
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/07/0439/00901.html
« Последнее редактирование: 07 Июня, 2022, 16:56:14 »

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« Ответ #418 : 08 Июня, 2022, 20:53:11 »
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          Александр Набабкин-Романюк.


L’Udienza Generale, 08.06.2022
                   Catechesi del Santo Padre in lingua italiana
                  Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
                     Tra le figure di anziani più rilevanti nei Vangeli c’è Nicodemo – uno dei capi dei Giudei –, il quale, volendo conoscere Gesù, ma di nascosto andò da lui di notte (cfr Gv 3,1-21). Nel colloquio di Gesù con Nicodemo emerge il cuore della rivelazione di Gesù e della sua missione redentrice, quando dice: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (v. 16).
                 Gesù dice a Nicodemo che per “vedere il regno di Dio” bisogna “nascere dall’alto” (cfr v. 3). Non si tratta di ricominciare daccapo a nascere, di ripetere la nostra venuta al mondo, sperando che una nuova reincarnazione riapra la nostra possibilità di una vita migliore. Questa ripetizione è priva di senso. Anzi, essa svuoterebbe di ogni significato la vita vissuta, cancellandola come fosse un esperimento fallito, un valore scaduto, un vuoto a perdere. No, non è questo, questo nascere di nuovo del quale parla Gesù: è un’altra cosa. Questa vita è preziosa agli occhi di Dio: ci identifica come creature amate da Lui con tenerezza. La “nascita dall’alto”, che ci consente di “entrare” nel regno di Dio, è una generazione nello Spirito, un passaggio tra le acque verso la terra promessa di una creazione riconciliata con l’amore di Dio. È una rinascita dall’alto, con la grazia di Dio. Non è un rinascere fisicamente un’altra volta.
                Nicodemo fraintende questa nascita, e chiama in causa la vecchiaia come evidenza della sua impossibilità: l’essere umano invecchia inevitabilmente, il sogno di una eterna giovinezza si allontana definitivamente, la consumazione è l’approdo di qualsiasi nascita nel tempo. Come può immaginarsi un destino che ha forma di nascita? Nicodemo pensa così e non trova il modo di capire le parole di Gesù. Questa rinascita, cos’è?
              L’obiezione di Nicodemo è molto istruttiva per noi. Possiamo infatti rovesciarla, alla luce della parola di Gesù, nella scoperta di una missione propria della vecchiaia. Infatti, essere vecchi non solo non è un ostacolo alla nascita dall’alto di cui parla Gesù, ma diventa il tempo opportuno per illuminarla, sciogliendola dall’equivoco di una speranza perduta. La nostra epoca e la nostra cultura, che mostrano una preoccupante tendenza a considerare la nascita di un figlio come una semplice questione di produzione e di riproduzione biologica dell’essere umano, coltivano poi il mito dell’eterna giovinezza come l’ossessione – disperata – di una carne incorruttibile. Perché la vecchiaia è – in molti modi – disprezzata. Perché porta l’evidenza inconfutabile del congedo di questo mito, che vorrebbe farci ritornare nel grembo della madre, per ritornare sempre giovani nel corpo.
             La tecnica si lascia attrarre da questo mito in tutti i modi: in attesa di sconfiggere la morte, possiamo tenere in vita il corpo con la medicina e la cosmesi, che rallentano, nascondono, rimuovono la vecchiaia. Naturalmente, una cosa è il benessere, altra cosa è l’alimentazione del mito. Non si può negare, però, che la confusione tra i due aspetti ci sta creando una certa confusione mentale. Confondere il benessere con l’alimentazione del mito dell’eterna giovinezza. Si fa tanto per riavere sempre questa giovinezza: tanti trucchi, tanti interventi chirurgici per apparire giovani. Mi vengono in mente le parole di una saggia attrice italiana, la Magnani, quando le hanno detto che dovevano toglierle le rughe, e lei disse: “No, non toccarle! Tanti anni ci sono voluti per averle: non toccarle!”. È questo: le rughe sono un simbolo dell’esperienza, un simbolo della vita, un simbolo della maturità, un simbolo di aver fatto un cammino. Non toccarle per diventare giovani, ma giovani di faccia: quello che interessa è tutta la personalità, quello che interessa è il cuore, e il cuore rimane con quella giovinezza del vino buono, che quanto più invecchia più è buono.
              La vita nella carne mortale è una bellissima “incompiuta”: come certe opere d’arte che proprio nella loro incompiutezza hanno un fascino unico. Perché la vita quaggiù è “iniziazione”, non compimento: veniamo al mondo proprio così, come persone reali, come persone che progrediscono nell’età, ma sono per sempre reali. Ma la vita nella carne mortale è uno spazio e un tempo troppo piccolo per custodire intatta e portare a compimento la parte più preziosa della nostra esistenza nel tempo del mondo. La fede, che accoglie l’annuncio evangelico del regno di Dio al quale siamo destinati, ha un primo effetto straordinario, dice Gesù. Essa consente di “vedere” il regno di Dio. Noi diventiamo capaci di vedere realmente i molti segni di approssimazione della nostra speranza di compimento per ciò che, nella nostra vita, porta il segno della destinazione per l’eternità di Dio.
              I segni sono quelli dell’amore evangelico, in molti modi illuminati da Gesù. E se li possiamo “vedere”, possiamo anche “entrare” nel regno, con il passaggio dello Spirito attraverso l’acqua che rigenera.
               La vecchiaia è la condizione, concessa a molti di noi, nella quale il miracolo di questa nascita dall’alto può essere assimilato intimamente e reso credibile per la comunità umana: non comunica nostalgia della nascita nel tempo, ma amore per la destinazione finale. In questa prospettiva la vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno. Nessuno può rientrare nel grembo della madre, e neppure nel suo sostituto tecnologico e consumistico. Questo non dà saggezza, questo non dà cammino compiuto, questo è artificiale. Sarebbe triste, seppure fosse possibile. Il vecchio cammina in avanti, il vecchio cammina verso la destinazione, verso il cielo di Dio, il vecchio cammina con la sua saggezza vissuta durante la vita. La vecchiaia perciò è un tempo speciale per sciogliere il futuro dall’illusione tecnocratica di una sopravvivenza biologica e robotica, ma soprattutto perché apre alla tenerezza del grembo creatore e generatore di Dio. Qui, io vorrei sottolineare questa parola: la tenerezza dei vecchi. Osservate un nonno o una nonna come guardano i nipoti, come accarezzano i nipoti: quella tenerezza, libera da ogni prova umana, che ha vinto le prove umane e capace di dare gratuitamente l’amore, la vicinanza amorosa dell’uno per gli altri. Questa tenerezza apre la porta a capire la tenerezza di Dio. Non dimentichiamo che lo Spirito di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è così, sa accarezzare. E la vecchiaia ci aiuta a capire questa dimensione di Dio che è la tenerezza. La vecchiaia è il tempo speciale per sciogliere il futuro dall’illusione tecnocratica, è il tempo della tenerezza di Dio che crea, crea una strada per tutti noi. Lo Spirito ci conceda la riapertura di questa missione spirituale – e culturale – della vecchiaia, che ci riconcilia con la nascita dall’alto. Quando noi pensiamo alla vecchiaia così, poi diciamo: come mai questa cultura dello scarto decide di scartare i vecchi, considerandoli non utili? I vecchi sono i messaggeri del futuro, i vecchi sono i messaggeri della tenerezza, i vecchi sono i messaggeri della saggezza di una vita vissuta. Andiamo avanti e guardiamo ai vecchi.
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/08/0440/00903.html

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #419 : 09 Июня, 2022, 20:51:59 »
             Дорогие друзья, к сожалению, с полной информацией сайтом Ватикана   https://press.vatican.va// , без возможности его прямого перевода в гуглхром : //forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html # msg38124 ). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/,    где есть и приемлемый русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, является обязательным и обязательным впредь лишь текст на языке оригинала. Однако при наборе и квалификации вы можете самостоятельно найти его как перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где увеличена функция поиска: нажимайте правую кнопку на тексте и в меню выбираете "перевести на русский язык". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеюсь, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет в скорости устранена его права собственности, так как это в его же задержании.Данный вводный текст будет вставляться перед каждой их публикацией, как на память по случаю.                   Александр Набабкин-Романюк.


Udienza ai Vescovi e Sacerdoti della Sicilia, 09.06.2022

Oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Vescovi e i Sacerdoti della Sicilia e ha rivolto loro il discorso che riportiamo di seguito:
                  Discorso del Santo Padre
                 Cari fratelli!
              Sono contento di incontrarvi. Ricordo con gioia il mio viaggio a Piazza Armerina e a Palermo: non l’ho dimenticato. Ringrazio Monsignor Antonino Raspanti per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Tenendo presente la realtà che lui ha presentato, vorrei condividere alcune riflessioni. Un altro luogo che non ho dimenticato dei viaggi è Agrigento, il primo che ho fatto, davanti alla tragedia di Lampedusa.
             Il cambiamento d’epoca nel quale ci troviamo a vivere richiede scelte coraggiose, anche se ponderate e, soprattutto, illuminate con il discernimento dello Spirito Santo. Questo cambiamento sta mettendo a dura prova soprattutto i legami sociali e affettivi, come la pandemia ha ancor più chiaramente evidenziato. L’atteggiamento responsabile con cui viverlo, come in altre fasi storiche, è accoglierlo con consapevolezza e con una «fiduciosa presa in carico della realtà, ancorata alla sapiente Tradizione viva e vivente della Chiesa, che può permettersi di prendere il largo senza paura» (Discorso al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, 17 febbraio 2022).
          La Sicilia non è fuori da questo cambiamento; anzi, come è accaduto in passato, si trova al centro di percorsi storici che i popoli continentali disegnano. Essa ha spesso accolto i passaggi di questi popoli, ora dominatori ora migranti, e accogliendoli li ha integrati nel suo tessuto, sviluppando una propria cultura. Ricordo quando, circa 40 anni fa, mi hanno fatto vedere un film sulla Sicilia: “Kaos”, si chiamava. Erano quattro racconti di Pirandello, il grande siciliano. Sono rimasto stupito da quella bellezza, da quella cultura, da quella “insularità continentale”, diciamo così… Ma questo non significa che sia un’isola felice, perché la condizione di insularità incide profondamente sulla società siciliana, finendo per mettere in maggior risalto le contraddizioni che portiamo dentro di noi. Sicché si assiste in Sicilia a comportamenti e gesti improntati a grandi virtù come a crudeli efferatezze. Come pure, accanto a capolavori di straordinaria bellezza artistica si vedono scene di trascuratezza mortificanti. E ugualmente, a fronte di uomini e donne di grande cultura, molti bambini e ragazzi evadono la scuola rimanendo tagliati fuori da una vita umana dignitosa. La quotidianità siciliana assume forti tinte, come gli intensi colori del cielo e dei fiori, dei campi e del mare, che risplendono per la forza della luminosità solare. Non a caso tanto sangue è stato versato per la mano di violenti ma anche per la resistenza umile ed eroica dei santi e dei giusti, servitori della Chiesa e dello Stato.
           L’attuale situazione sociale della Sicilia è in netta regressione da anni; un preciso segnale è lo spopolamento dell’Isola, dovuto sia al calo delle nascite – questo inverno demografico che stiamo vivendo tutti noi – sia all’emigrazione massiccia di giovani. La sfiducia nelle istituzioni raggiunge livelli elevati e la disfunzione dei servizi appesantisce lo svolgimento delle pratiche quotidiane, nonostante gli sforzi di persone valide e oneste, che vorrebbero impegnarsi e cambiare il sistema. Occorre comprendere come e in quale direzione la Sicilia sta vivendo il cambiamento d’epoca e quali strade potrebbe intraprendere, per annunciare, nelle fratture e nelle giunture di questo cambiamento, il Vangelo di Cristo.
          Tale compito, pur essendo affidato all’intero popolo di Dio, chiede a noi sacerdoti e vescovi il servizio pieno, totale ed esclusivo. A fronte di questa grande sfida, anche la Chiesa risente della situazione generale con le sue pesantezze e le sue svolte, registrando un calo di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, ma soprattutto un distacco crescente dei giovani. I giovani stentano a percepire nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali un aiuto alla loro ricerca del senso della vita; e non sempre vi scorgono la chiara presa di distanza da vecchi modi di agire, errati e perfino immorali, per imboccare decisamente la strada della giustizia e dell’onestà. Mi sono addolorato quando ho dovuto avere nelle mani qualche pratica che è arrivata alle Congregazioni romane per qualche giudizio su sacerdoti e persone di Chiesa: ma come mai, come mai si è arrivati a questa strada di ingiustizia e disonestà?
Non sono mancate, tuttavia, in passato, e non mancano ancora oggi, figure di sacerdoti e fedeli che abbracciano pienamente le sorti del popolo siciliano: come non ricordare i Beati don Pino Puglisi e Rosario Livatino, ma anche persone meno note, donne e uomini che hanno vissuto in ogni stato di vita la fedeltà a Cristo e al popolo? Come ignorare il silenzioso lavoro, tenace e amorevole, di tanti sacerdoti in mezzo alla gente sfiduciata o senza lavoro, in mezzo ai fanciulli o agli anziani sempre più soli? E a proposito dei sacerdoti che sono vicini ai vecchi, ho ricevuto poco tempo fa una lettera da uno dei vostri sacerdoti, che mi raccontava come aveva accompagnato il vecchio parroco negli ultimi tempi di vita, fino all’ultimo momento. Tornava stanchissimo dal lavoro, ma la prima cosa era andare dal “vecchio” e raccontargli le cose, farlo felice; e poi portarlo a letto, accompagnarlo fino a che si addormentasse… Questi sono gesti grandi, grandi! E questa grandezza c’è anche fra voi, nel vostro clero. La figura sacerdotale in mezzo al popolo, di bravi sacerdoti, è importante perché in Sicilia, si guarda ancora ai sacerdoti come a guide spirituali e morali, persone che possono anche contribuire a migliorare la vita civile e sociale dell’Isola, a sostenere la famiglia e ad essere riferimento per i giovani in crescita. Alta ed esigente è l’attesa della gente siciliana verso i sacerdoti. Non restare a metà del cammino, per favore!
           Di fronte alla consapevolezza delle nostre debolezze, sappiamo che la volontà di Cristo ci pone nel cuore di questa sfida. La chiave di tutto è nella sua chiamata, sulla quale appoggiarci per prendere il largo e gettare ancora le reti. Noi non conosciamo nemmeno noi stessi, ma se torniamo alla chiamata, non possiamo ignorare quel Volto che ci ha incontrati e tratti dietro di sé, persino uniti a sé, come la nostra tradizione insegna quando afferma che nella liturgia agiamo addirittura “in persona Christi”. Questa unità piena, questa identificazione non possiamo limitarla alla celebrazione, bensì occorre viverla pienamente in ogni istante della vita, memori delle parole dell’apostolo Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
          Se allora, nel sentimento della gente di Sicilia, prevale l’amarezza e la delusione per la distanza che la separa dalle zone più ricche ed evolute del Paese e dell’Europa; se tanti, soprattutto giovani, aspirano ad andare via per trovare standard di vita più ricchi e comodi, mentre chi rimane si porta dentro sentimenti di frustrazione; a maggior ragione noi pastori siamo chiamati ad abbracciare fino in fondo la vita di questo popolo. Non dimentichiamo i profeti d’Israele, che rimasero fedeli al popolo per la fedeltà di Dio all’alleanza, e lo seguirono fin nell’esilio. Come pure i saggi e i pii che nella diaspora sostennero il popolo fedele. Stare accanto, essere vicini, ecco quello che siamo chiamati a vivere, per la fedeltà di Dio; per amore suo stiamo accanto fino in fondo, fino alle estreme conseguenze, quando ad esse conducono le circostanze di giustizia, di riconciliazione, di onestà e di perdono. Vicinanza, compassione e tenerezza: questo è lo stile di Dio ed è anche lo stile del pastore. Lo stesso Signore dice al suo popolo: “Dimmi, quale popolo ha i suoi dei così vicini come tu hai me?”. La vicinanza, che è compassionevole, perdona tutto, è tenera. Abbraccia, accarezza.
           Nell’“oggi” faticoso del popolo di Dio che è in Sicilia, i sacerdoti attingono quotidianamente questa forma di vita dall’Eucaristia. Lo dicevo parlando con voi a Palermo quattro anni fa: «Le parole dell’Istituzione delineano la nostra identità sacerdotale: ci ricordano che il prete è uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione» (Discorso al clero, ai religiosi e ai seminaristi, Palermo, 15 settembre 2018). E per favore, state attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine delude, alla fine delude. E ti lascia solo, perduto.
           E poi vi anima la grande devozione mariana della Sicilia, consacrata a Maria Immacolata, per la quale insieme, vescovi e sacerdoti, avete preso l’abitudine di celebrare una Giornata Sacerdotale Mariana: continuate con questo. Il primo valore che si sottolinea con questa pratica è quello dell’unità, davvero cruciale dinanzi all’individualismo e alla frammentazione, se non alla divisione che incombe su di noi tutti. L’unità, dono del sacrificio pasquale di Gesù, è rafforzata con il metodo della sinodalità, che anche voi avete adottato tramite i percorsi formativi impostati sul tema «Con passo sinodale». Nelle varie iniziative per la formazione regionale del clero, è bello il vostro proposito di fare esercizi di sinodalità vivificando la fraternità e la paternità sacerdotale, di “camminare insieme” narrando reciprocamente le esperienze umane e spirituali, le iniziative pastorali, con sincerità e naturalezza, con gratitudine e stupore per i passi compiuti con l’aiuto dello Spirito. Un cammino, certamente, che richiede apertura alle sorprese di Dio nella nostra vita e negli snodi esistenziali delle nostre comunità, con la consapevolezza che attraverso l’ascolto, umile e sincero, possiamo vivere un discernimento che raggiunge il cuore e ci modifica interiormente.
           L’altro valore è quello dell’affidamento a Maria, donna della tenerezza e della consolazione, della pazienza e della compassione. Tra il sacerdote e la Madre celeste si intreccia giorno dopo giorno un segreto dialogo che conforta e lenisce ogni ferita, che soprattutto allevia negli alti e bassi della quotidianità ai quali egli va incontro. In questo dialogo semplice, fatto di sguardi e di parole umili come quelle del Rosario, il sacerdote scopre come la perla della verginità di Maria, totalmente dedita a Dio, la renda madre tenera verso tutti. Così anche lui, quasi a sua insaputa, vede la fecondità di un celibato, a volte faticoso da portare avanti, ma prezioso e ricco nella sua trasparenza.
          Non vorrei finire senza parlare di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda. Anche educarla. Su questo leggete il n. 48 della Evangelii nuntiandi che ha piena attualità, quello che San Paolo VI ci diceva sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la sostanza che ha dentro. Ma la liturgia, come va? E lì io non so, perché non vado a Messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium o se predicano in modo tale che la gente esce a fare una sigaretta e poi torna… Quelle prediche in cui si parla di tutto e di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a Messa lì, ma ho visto delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella “moda” liturgica! Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no? Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti.
          Cari fratelli, vi ringrazio tanto della vostra visita. Vi benedico e benedico le vostre comunità, e benedico il loro cammino. Mi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me, perché ne ho bisogno.
           Un’altra cosa… Questo non lo dico solo per la Sicilia, questo è universale: una delle cose che più distruggono la vita ecclesiale, sia la diocesi sia la parrocchia, è il chiacchiericcio, il chiacchiericcio che va insieme all’ambizione. Vi daranno uno scritto che ha fatto un Nunzio Apostolico sul chiacchiericcio, lo chiama “parola abusata”. Noi non riusciamo a mandare via il chiacchiericcio: anche dopo una riunione: Ciao, ci salutiamo, e incomincia: “Hai visto cosa ha detto quello, quell’altro, quell’altro…”. Il chiacchiericcio è una peste che distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge la personalità. E mi piace tanto l’immagine che ha messo nella copertina – poi lo vedrete perché ve ne daranno uno per ciascuno – c’è il segno del dito, che è il segno dell’identità, e uno che lo sfila, perché con il chiacchiericcio ti toglie l’identità, ti toglie l’appartenenza: questo fa il chiacchiericcio, con noi. Scusatemi se predico queste cose che sembrano da prima Comunione, ma sono cose essenziali: non dimenticarle!
         Adesso vi darò la benedizione.
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/09/0444/00917.html