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Автор Тема: Новости Ватикана  (Прочитано 54642 раз)

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #430 : 18 Июня, 2022, 21:54:24 »
Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.   
             Александр Набабкин-Романюк.

Udienza ai Partecipanti al Capitolo Generale della Società San Paolo (Paolini), 18.06.2022

Oggi, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Partecipanti all’XI Capitolo Generale della Società San Paolo (Paolini).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa aveva preparato per la circostanza e che è stato consegnato ai presenti e la trascrizione del discorso che il Santo Padre ha pronunciato a braccio:
Discorso consegnato del Santo Padre
                  Cari fratelli, buongiorno!
                 Vi do il benvenuto e ringrazio il Superiore Generale per il suo saluto e la sua presentazione. Siete venuti in occasione del vostro XI Capitolo Generale, che ha questo tema: “«Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare» (Rm 12,2). Chiamati ad essere artigiani di comunione per annunciare profeticamente la gioia del Vangelo nella cultura della comunicazione”.
                 L’apostolo Paolo, nel versetto della Lettera ai Romani che ha guidato queste vostre giornate di lavoro, invita tutti noi a non conformarci alla mentalità del mondo, ma a lasciarci trasformare cambiando il nostro modo di pensare. Paolo non dice “trasformate” il mondo, ma “trasformatevi”, anzi, «lasciatevi trasformare», ossia fate spazio all’unico Soggetto in grado di potervi trasformare: lo Spirito Santo, la Grazia di Dio. Lasciarci trasformare prima noi, per poi trasformare il mondo intorno a noi.
                L’espressione “rinnovare il modo di pensare” – come voi mi insegnate – è al centro della proposta di vita spirituale e apostolica che il vostro Fondatore, il beato Giacomo Alberione, ha elaborato e codificato per voi, proprio a partire dell’esperienza di San Paolo. Scriveva il Beato: «Dalla mente viene tutto. Se uno fa un’opera buona è perché l’ha pensata e poi l’ha voluta e poi l’ha fatta. Quindi sempre, primo punto da guardare, è la mente» (Alle Pie Discepole del Divin Maestro, VIII, Roma, 1986, 365).
              È dunque prima di tutto la mentalità che va cambiata, convertita, assimilata a quella di Gesù Maestro, per contribuire a diffondere nella società un modo di pensare e di vivere fondato sul Vangelo. È una grande sfida per la Chiesa e per voi Paolini, caratterizzati dal carisma istituzionale della comunicazione. In effetti, non è sufficiente utilizzare i mezzi di comunicazione per propagare il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa; occorre integrare il messaggio stesso nella nuova cultura creata dalla comunicazione moderna. Una cultura che nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici (cfr Enc. Redemptoris missio, 37, c).
              Un tema-chiave, al riguardo, è quello delle relazioni interpersonali nel mondo globalizzato e iperconnesso. È un tema-chiave sia sul piano umano e sociale, sia sul piano ecclesiale, perché tutta la vita cristiana parte e si sviluppa attraverso il rapporto da persona a persona. E ormai, dopo i primi tempi di euforia per le novità tecnologiche, siamo consapevoli che non basta vivere “in rete” o “connessi”, bisogna vedere fino a che punto la nostra comunicazione, arricchita dall’ambiente digitale, effettivamente crea ponti e contribuisce alla costruzione della cultura dell’incontro.
               Per la vostra specifica missione di evangelizzazione nel mondo della comunicazione, Don Alberione vi ha voluti uomini consacrati, chiamati a dare la testimonianza del Vangelo con la dedizione senza riserve all’apostolato. Guardate, per questo, all’apostolo Paolo come modello di uomo conquistato da Cristo e spinto dalla sua carità sulle strade del mondo. Da Paolo imparate sempre di nuovo la passione per il Vangelo e lo spirito missionario, che nascendo dal suo “cuore pastorale” lo spingevano a farsi tutto a tutti. E un aspetto che, parlando di Paolo, rischia di venire trascurato, ma che in realtà appare chiaramente dalle sue lettere, è che lui non agiva da solo, come un eroe isolato, ma sempre in collaborazione con i suoi compagni di missione. Da lui, pertanto, imparate anche a lavorare in squadra con gli altri, a lavorare “in rete”, ad essere artigiani di comunione, utilizzando i mezzi di comunicazione più efficaci e aggiornati per arrivare con la Buona Notizia alle persone dove e come vivono.
             Questo stile di comunione cercate di coltivarlo prima di tutto tra di voi, nelle vostre comunità e nella Congregazione, praticando quella sinodalità che in tutta la Chiesa ci siamo proposti di approfondire e soprattutto di esercitare ad ogni livello. Parlando a voi, vi chiedo di mettere al servizio di questo processo il vostro carisma, cioè di aiutare la Chiesa a camminare insieme valorizzando al meglio i mezzi di comunicazione. È un servizio che da sempre vi vede attenti, ma che in questa fase chiede di essere pensato e studiato in maniera tematica. In due parole, il tema è: sinodalità e comunicazione.
           Ma non vorrei che vi sentiste considerati solo su questo piano, diciamo “professionale”, della vostra specifica competenza. No, la comunione siete chiamati a viverla ordinariamente nella fraternità, nelle relazioni con le Comunità diocesane in cui vivete, e naturalmente con la grande e variegata Famiglia Paolina. Il vostro orizzonte sia sempre quello di Paolo, cioè l’intera umanità del nostro tempo, a cui è destinato il Vangelo di Cristo, in modo speciale quanti appaiono come i “lontani”, gli indifferenti e persino gli ostili. Spesso, a ben guardare, queste persone nascondono in sé una nostalgia di Dio, una sete di amore e di verità.
          Cari fratelli, grazie della vostra visita e soprattutto del vostro impegno al servizio della Chiesa e dell’evangelizzazione. Maria, Regina degli Apostoli, con la sua materna protezione vi accompagni sempre nel vostro cammino. Benedico di cuore tutti voi e i vostri confratelli. E vi chiedo per favore: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Parole a braccio del Santo Padre
              Grazie per le Sue parole, grazie a tutti per la visita, grazie!
             Qui c’è il discorso che devo dire… Ma perché perdere tempo dicendo questo quando voi lo leggerete dopo, non è vero? Mi è sembrato meglio darlo al Generale, che lui poi lo faccia conoscere – se lo crede opportuno; se no, che faccia la censura! E poi, mi sembra che comunicarsi così, fraternamente, con il calore dell’incontro, è meglio che la freddezza di un discorso.
            E voi siete apostoli della comunicazione. Della teologia della comunicazione si può parlare tanto… La passione di Dio è comunicarsi, sempre comunica: con il Figlio nello Spirito, e poi a noi. Comunicare è una delle cose che è più che una professione: è vocazione. E questo Don Alberione ha voluto sottolineare nelle diverse famiglie – cosiddette – paoline, questo del comunicare. Comunicare in modo pulito. E voi avete la vocazione di comunicare in modo pulito, evangelicamente. Se noi prendiamo i mezzi di comunicazione di oggi: manca pulizia, manca onestà, manca completezza. La dis-informazione è all’ordine del giorno: si dice una cosa ma se ne nascondono tante altre. Dobbiamo far sì che nella nostra comunicazione di fede questo non succeda, non accada, che la comunicazione venga proprio dalla vocazione, dal Vangelo, nitida, chiara, testimoniata con la propria vita.
           Non solo comunicare, ma anche redimere la comunicazione dallo stato in cui è oggi, nelle mani di tutto un mondo di comunicazione che o dice la metà, o una parte calunnia l’altra, o una parte diffama l’altra, o una parte sul vassoio offre degli scandali perché alla gente piace mangiare scandali, cioè mangiare sporcizia. Non è vero? È così. La comunicazione, quel rapporto tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che è nel segno della Trinità, diventa questo pasto indigesto, sporco, non pulito. La vostra vocazione è che la comunicazione sia fatta pulita, chiara, semplice. Non trascurare questo, è molto importante!
           Non è una professione. Sì, fra voi ci sono comunicatori professionisti, questo sta bene; ma prima della professione, è una vocazione, e la vocazione ti dà l’identità. Io prendo la tua identità dalla tua vocazione, cioè Dio ti chiama a questo. Non mi importa come ti chiamavi prima che io ti chiamassi. Ti chiama, hai la tua identità. Quella preghiera di Davide, quella coscienza profetica: “Tu sei stato tolto dal gregge”, da lì; la tua identità non viene tanto dal gregge ma dalla chiamata che ti ha tolto dal gregge. Non dimenticare il gregge, che non vengano i “fumi” e ti riempiano la testa perché sei uno importante, sei arrivato a monsignore, a cardinale… Niente, no, questo non serve a nulla. Serve la pulizia, cioè da dove vengo, la realtà. E Dio si comunica sempre nella realtà: fate in modo che la vostra vita sia proprio la comunicazione della vostra vocazione, che nessuno di voi debba nascondere la propria identità vocazionale. La prima cosa che un comunicatore comunica è se stesso, senza volerlo, forse, ma è se stesso. “Questo parla di questo tema…”, ma come parla è importante: chiaro, trasparente; è lui stesso che parla. Questa è l’originalità. In questo senso, i comunicatori sono “poeti”. È la “poesia” del comunicare bene.
            Andate avanti con una comunicazione pulita: anche nel Capitolo, comunicate bene tra voi. Sempre ci sono difficoltà nel comunicare bene, e nella comunicazione c’è sempre anche qualche pericolo di trasformare la realtà. Uno racconta, comunica all’altro questo, questo lo comunica a questo, a quell’altro e quell’altro e a giro, quando torna, è come Cappuccetto rosso, che incomincia con il lupo che vuole mangiare Cappuccetto rosso e finisce con Cappuccetto rosso e la nonna che mangiano il lupo. No, non va la cosa! Una brutta comunicazione deforma la realtà.
           Grazie per la vocazione a comunicare nella Chiesa. Andate avanti su questo: la Chiesa ha bisogno di questo. Io vi ringrazio tanto. Coraggio e avanti! Pregate gli uni per gli altri. l’unità della Congregazione sarà la vostra forza per comunicare bene. E pregate anche per me: io chiedo l’elemosina, così andiamo avanti. Va bene. Grazie!


https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/18/0469/00964.html
« Последнее редактирование: 18 Июня, 2022, 21:56:29 »

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #431 : 19 Июня, 2022, 17:24:00 »
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    Александр Набабкин-Романюк.


Le parole del Papa alla recita dell’Angelus, 19.06.2022

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Francesco si è affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli e i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:
Prima dell’Angelus
                  Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona domenica!
              In Italia e in altri Paesi oggi si celebra la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. L’Eucaristia, istituita nell’Ultima Cena, fu come il punto di arrivo di un percorso, lungo il quale Gesù l’aveva prefigurata mediante alcuni segni, soprattutto la moltiplicazione dei pani, raccontata nel Vangelo della Liturgia odierna (cfr Lc 9,11b-17). Gesù si prende cura della grande folla che lo ha seguito per ascoltare la sua parola ed essere liberata da vari mali. Benedice cinque pani e due pesci, li spezza, i discepoli distribuiscono, e «tutti mangiarono a sazietà» (Lc 9,17), dice il Vangelo. Nell’Eucaristia ognuno può fare esperienza di questa amorosa e concreta attenzione del Signore. Chi riceve con fede il Corpo e il Sangue di Cristo non solo mangia, ma viene saziato. Mangiare ed essere saziati: si tratta di due fondamentali necessità, che nell’Eucaristia vengono appagate.
            Mangiare. «Tutti mangiarono», scrive San Luca. Sul far della sera i discepoli consigliano a Gesù di congedare la folla, perché possa andare a cercare il cibo. Ma il Maestro vuole provvedere anche a questo: a chi lo ha ascoltato vuole dare pure da mangiare. Il miracolo dei pani e dei pesci non avviene però in maniera spettacolare, ma quasi riservatamente, come alle nozze di Cana: il pane aumenta passando di mano in mano. E mentre mangia, la folla si rende conto che Gesù si prende cura di tutto. Questo è il Signore presente nell’Eucaristia: ci chiama ad essere cittadini del Cielo, ma intanto tiene conto del cammino che dobbiamo affrontare qui in terra. Se ho poco pane nella borsa, Lui lo sa e se ne preoccupa.
           Talvolta c’è il rischio di confinare l’Eucaristia in una dimensione vaga, lontana, magari luminosa e profumata di incenso, ma lontana dalle strettoie del quotidiano. In realtà, il Signore prende a cuore tutti i nostri bisogni, a partire da quelli più elementari. E vuole dare l’esempio ai discepoli, dicendo: «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 13), a quella gente che lo aveva ascoltato durante la giornata. La nostra adorazione eucaristica trova la sua verifica quando ci prendiamo cura del prossimo, come fa Gesù: attorno a noi c’è fame di cibo, ma anche di compagnia, c’è fame di consolazione, di amicizia, di buonumore, c’è fame di attenzione, c’è fame di essere evangelizzati. Questo troviamo nel Pane eucaristico: l’attenzione di Cristo alle nostre necessità, e l’invito a fare altrettanto verso chi ci è accanto. Bisogna mangiare e dare da mangiare.
          Oltre il mangiare, però, non deve mancare l’essere saziati. La folla si saziò per l’abbondanza di cibo, e anche per la gioia e lo stupore di averlo ricevuto da Gesù! Abbiamo certo bisogno di alimentarci, ma anche di essere saziati, di sapere cioè che il nutrimento ci venga dato per amore. Nel Corpo e nel Sangue di Cristo troviamo la sua presenza, la sua vita donata per ognuno di noi. Non ci dà solo l’aiuto per andare avanti, ma ci dà sé stesso: si fa nostro compagno di viaggio, entra nelle nostre vicende, visita le nostre solitudini, ridando senso ed entusiasmo. Questo ci sazia, quando il Signore dà senso alla nostra vita, alle nostre oscurità, ai nostri dubbi, ma Lui vede il senso e questo senso che ci dà il Signore ci sazia, questo ci dà quel “di più” che tutti cerchiamo: cioè la presenza del Signore! Perché al calore della sua presenza la nostra vita cambia: senza di Lui sarebbe davvero grigia. Adorando il Corpo e il Sangue di Cristo, chiediamogli con il cuore: “Signore, dammi il pane quotidiano per andare avanti, Signore saziami con la tua presenza!”.
            La Vergine Maria ci insegni ad adorare Gesù vivo nell’Eucaristia e a condividerlo con i nostri fratelli e sorelle.

Dopo l’Angelus
           Cari fratelli e sorelle!
           Ieri, a Siviglia, sono stati beatificati alcuni religiosi della famiglia Domenicana: Angelo Marina Álvarez e diciannove compagni; Giovanni Aguilar Donis e quattro compagni, dell’Ordine dei Frati Predicatori; Isabella Sánchez Romero, anziana monaca dell’Ordine di San Domenico, e Fruttuoso Pérez Marquez, laico terziario domenicano. Tutti uccisi in odio alla fede nella persecuzione religiosa che si verificò in Spagna nel contesto della guerra civile del secolo scorso. La loro testimonianza di adesione a Cristo e il perdono per i loro uccisori ci mostrano la via della santità e ci incoraggiano a fare della vita un’offerta d’amore a Dio e ai fratelli. Un applauso ai nuovi Beati.
           Giunge ancora dal Myanmar il grido di dolore di tante persone a cui manca l’assistenza umanitaria di base e che sono costrette a lasciare le loro case perché bruciate e per sfuggire alla violenza. Mi unisco all’appello dei Vescovi di quell’amata terra, perché la Comunità internazionale non si dimentichi della popolazione birmana, perché la dignità umana e il diritto alla vita siano rispettati, come pure i luoghi di culto, gli ospedali e le scuole. E benedico la comunità Birmana in Italia, oggi qui rappresentata.
           Mercoledì prossimo, 22 giugno, inizierà il X Incontro Mondiale delle Famiglie, che avrà luogo a Roma e contemporaneamente in maniera diffusa in tutto il mondo. Ringrazio i vescovi, i parroci e gli operatori della pastorale familiare che hanno convocato le famiglie a momenti di riflessione, di celebrazione e di festa. Ringrazio soprattutto gli sposi e le famiglie che daranno testimonianza dell’amore familiare come vocazione e via di santità. Buon incontro!
          E ora saluto tutti voi, romani e pellegrini di vari Paesi, in particolare gli studenti della London Oratory School. Saluto i partecipanti al primo Corso di pastorale dell’accoglienza e della cura “Vita nascente”; i fedeli di Gragnano e l’Associazione ciclistica “Pedale Sestese” di Sesto San Giovanni. E non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino in questo momento, popolo che sta soffrendo. Io vorrei che rimanga in tutti voi una domanda: cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Prego? Mi do da fare? Cerco di capire? Cosa faccio io oggi per il popolo ucraino? Ognuno risponda nel proprio cuore.
          A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!


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« Ответ #432 : 20 Июня, 2022, 22:25:58 »
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          Александр Набабкин-Романюк.


Udienza ai Membri del Sinodo della Chiesa Greco Melkita, 20.06.2022

Questa mattina, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri del Sinodo della Chiesa Greco Melkita e ha rivolto loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

Discorso del Santo Padre
                 Sono lieto di ricevervi e sono lieto di rivedere Mons. Georges Kahhale, è bravo! Io vorrei dire che lui mi ha aiutato tanto. Prima di tutto, ha imparato la lingua subito: spero che il suo successore parli lo spagnolo, perché non si può essere vescovo di un popolo parlando un’altra lingua. Peccato che non ci sia, qui. Poi, noi avevamo un problema lì, con un sacerdote, a Buenos Aires, e lui era energico nella soluzione, ma molto pastore, molto buono nel modo di cercarlo. Io, quando l’ho visto, mi sono rallegrato e per questo voglio dare questa testimonianza davanti a tutti voi. Uno dei vostri fratelli che fa onore. Grazie, Mons. Kahhale. E poi, vi racconta le avventure che abbiamo avuto a Buenos Aires con quel prete.
Beatitudine,
Cari Fratelli nell’Episcopato!
                 Sono lieto di accogliervi questa mattina, dando inizio ai lavori del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Antiochia dei Greco-Melkiti. Ringrazio il Patriarca, grande amico, Sua Beatitudine Youssef Absi, per le parole che mi ha rivolto.
                 Avete chiesto di poter celebrare la vostra convocazione annuale a Roma, presso le tombe dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e a quelle di molti martiri che hanno dato la vita per fedeltà al Signore Gesù. Abbiamo bisogno della loro intercessione, perché anche nel nostro tempo, in società che alcune analisi definiscono “liquide”, con legami leggeri che moltiplicano le solitudini e l’abbandono dei più fragili, la comunità cristiana abbia il coraggio di testimoniare il nome di Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede. Tra i Successori di Pietro sono annoverati anche alcuni nati in Siria, e questo ci fa sentire da un lato il respiro cattolico della Chiesa di Roma, chiamata a presiedere nella carità e ad avere la sollicitudo Ecclesiarum omnium, e dall’altro ci fa andare pellegrini nella terra ove alcuni di voi, iniziando dal Patriarca Youssef, sono Vescovi: l’amata e martoriata Siria.
             I drammi degli ultimi mesi, che tristemente ci costringono a volgere lo sguardo all’est dell’Europa, non ci devono far dimenticare quello che da dodici anni si consuma nella vostra terra. Io ricordo, il primo anno di pontificato, quando era preparato un bombardamento sulla Siria, che abbiamo convocato una notte di preghiera, qui, in San Pietro, così anche c’era il Santissimo Sacramento e la piazza piena, che pregava. C’erano anche dei musulmani, che avevano portato il loro tappeto e pregavano con noi. E lì è nata quell’espressione: “Amata e martoriata Siria”. Migliaia di morti e feriti, milioni di rifugiati interni e all’estero, l’impossibilità di avviare la necessaria ricostruzione. In più di una occasione mi è capitato di incontrare e sentire il racconto di qualche giovane siriano giunto qui, e mi ha colpito il dramma che portava dentro di sé, per quanto ha vissuto e visto, ma anche il suo sguardo, quasi prosciugato di speranza, incapace di sognare un futuro per la sua terra. Non possiamo permettere che anche l’ultima scintilla di speranza sia tolta dagli occhi e dai cuori dei giovani e delle famiglie! E rinnovo quindi l’appello a tutti coloro che hanno responsabilità, dentro il Paese e nella Comunità internazionale, perché si possa giungere ad una equa e giusta soluzione al dramma della Siria.
               Voi Vescovi della Chiesa greco-melkita siete chiamati a interrogarvi sul modo in cui, come Chiesa, portate la vostra testimonianza: eroica sì, generosa, ma sempre bisognosa di essere posta alla luce di Dio perché sia purificata e rinnovata. Ecclesia semper reformanda. Siete un Sinodo, per quelle caratteristiche che vi sono state riconosciute come Chiesa Patriarcale, ed è necessario che vi interrogate sullo stile sinodale del vostro essere e agire, secondo quello che ho chiesto alla Chiesa Universale: la vostra capacità di vivere la comunione di preghiera e di intenti tra voi e con il Patriarca, tra i Vescovi e i presbiteri e i diaconi, con i religiosi e le religiose, e con i fedeli laici, tutti insieme formando il Popolo santo di Dio.
                Siete giustamente preoccupati della sopravvivenza dei cristiani nel Medio Oriente – anche io: è una preoccupazione! –, istanza che condivido pienamente; e d’altra parte da decenni ormai la presenza della Chiesa Melkita ha una dimensione mondiale. Il patriarca mi chiedeva di ordinare vescovi da tante parti: esistono eparchie per l’Australia e l’Oceania, negli Stati Uniti e nel Canada, in Venezuela e Argentina, soltanto per citarne alcune; e molti sono i fedeli anche in Europa, per quanto essi non abbiano ancora avuto la possibilità di essere riuniti in circoscrizioni ecclesiastiche loro proprie. Questo aspetto rappresenta senza dubbio una sfida, ecclesiale ma anche culturale e sociale, non senza difficoltà e ostacoli. Al contempo è anche una grande occasione: quella di rimanere radicati nelle proprie tradizioni e origini, aprendovi però all’ascolto dei tempi e dei luoghi in cui siete disseminati, per rispondere a quello che il Signore chiede oggi alla vostra Chiesa.
                All’interno del Sinodo, vi incoraggio a esercitare le vostre competenze con tanta saggezza: so che sono avviate riflessioni in alcune Chiese Orientali circa il ruolo e la presenza dei Vescovi emeriti, specie quelli con più di ottanta anni, che in taluni Sinodi sono un numero consistente. Un altro capitolo è quello delle elezioni dei Vescovi, per le quali vi prego di riflettere sempre bene e di pregare lo Spirito Santo perché vi illumini, preparando adeguatamente e con largo anticipo il materiale e le informazioni sui diversi candidati, superando ogni logica di partigianeria e di equilibri tra Ordini Religiosi di provenienza. Vi esorto – e vi ringrazio per l’impegno che porrete in questo – a far risplendere il volto della Chiesa, che Cristo si è acquistato con il suo Sangue, tenendo lontane divisioni e mormorazioni, che non fanno altro che scandalizzare i piccoli e disperdere il gregge a voi affidato. Su questo mi fermo: state attenti al chiacchiericcio. Per favore, niente. Se uno ha una cosa da dire all’altro, la dica in faccia, con carità, ma in faccia. Come uomini. La può dire in faccia da solo, la può dire in faccia davanti agli altri: correzione fraterna. Ma mai sparlare dell’altro con un altro, questo non si fa. Questo è un tarlo che distrugge la Chiesa. Siamo coraggiosi. Guardiamo come Paolo ha detto in faccia a Giacomo tante cose. Anche a Pietro. E poi si fa l’unità, la vera unità, tra uomini. Mandate via ogni sorta di chiacchiericcio, per favore. E poi il popolo si scandalizza: guarda i preti, guarda i vescovi, si spellano tra loro! Mi raccomando: quello che dovete dirvi, in faccia, sempre.
              Benedico di cuore ciascuno di voi e i vostri lavori sinodali. La Vergine Santa, Madre della Chiesa, vi accompagni. E vi chiedo la carità di pregare per me. Ne ho bisogno. Grazie!


https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/20/0472/00972.html

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         Александр Набабкин-Романюк.



Messaggio del Santo Padre in occasione della prima Riunione degli Stati Parte al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, 21.06.2022

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre in occasione della prima Riunione degli Stati Parte al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, letto da S.E. Mons. Paul R. Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali (Vienna, 21 giugno 2022):
Messaggio
     To His Excellency Ambassador Alexander Kmentt
President of the First Meeting of States Parties
to the Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons


I am pleased to greet you and the other distinguished participants on the occasion of this First Meeting of States Parties to the Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons.


In my message to the diplomatic conference convened five years ago to negotiate this Treaty, I asked: “Why give ourselves this demanding and forward-looking goal [of a world without nuclear weapons] in the present international context characterized by an unstable climate of conflict, which is both cause and indication of the difficulties encountered in advancing and strengthening the process of nuclear disarmament and nuclear non-proliferation?”.


At this particular moment in history where the world seems to be at a crossroads, the courageous vision of this legal instrument, strongly inspired by ethical and moral arguments, appears ever more timely. Indeed, this meeting takes place at a moment that inevitably calls for a deeper reflection on security and peace. In the current context, speaking of or advocating disarmament may seem paradoxical to many. However, we need to remain aware of the dangers of short-sighted approaches to national and international security and the risks of proliferation. As we know all too well, the price for not doing so is inevitably paid by the number of innocent lives taken and measured in terms of carnage and destruction. As a result, I emphatically renew my appeal to silence all weapons and eliminate the causes of conflicts through tireless recourse to negotiations: “Those who wage war […] forget humanity!”


Peace is indivisible, and to be truly just and lasting, it has to be universal. It is deceptive and self-defeating reasoning to think that the security and peace of some is disconnected from the collective security and peace of others. This is also one of the lessons that the Covid-19 pandemic has tragically demonstrated. “The security of our own future depends on guaranteeing the peaceful security of others, for if peace, security and stability are not established globally, they will not be enjoyed at all. Individually and collectively, we are responsible for the present and future well-being of our brothers and sisters”.


The Holy See has no doubt that a world free from nuclear weapons is both necessary and possible. In a system of collective security, there is no place for nuclear weapons and other weapons of mass destruction. Indeed, “if we take into consideration the principal threats to peace and security with their many dimensions in this multipolar world of the twenty-first century as, for example, terrorism, asymmetrical conflicts, cybersecurity, environmental problems, poverty, not a few doubts arise regarding the inadequacy of nuclear deterrence as an effective response to such challenges. These concerns are even greater when we consider the catastrophic humanitarian and environmental consequences that would follow from any use of nuclear weapons, with devastating, indiscriminate and uncontainable effects, over time and space”[4]. Nor can we ignore the precariousness arising from the simple maintenance of these weapons: the risk of accidents, involuntary or otherwise, that could lead to very troubling scenarios.


Nuclear weapons are a costly and dangerous liability. They represent a “risk multiplier” that provides only an illusion of a “peace of sorts”. Here, I wish to reaffirm that the use of nuclear weapons, as well as their mere possession, is immoral. Trying to defend and ensure stability and peace through a false sense of security and a “balance of terror”, sustained by a mentality of fear and mistrust inevitably ends up poisoning relationships between peoples and obstructing any possible form of real dialogue. Possession leads easily to threats of their use, becoming a sort of “blackmail” that should be repugnant to the consciences of humanity.


In this regard “unless this process of disarmament be thorough-going and complete, and reach men’s very souls, it is impossible to stop the arms race or to reduce armaments or – and this is the main thing – ultimately to abolish them entirely. Everyone must sincerely cooperate in the effort to banish fear and the anxious expectation of war from men’s minds”.


For these reasons, it is important to recognize a global and pressing need for responsibility on multiple levels. Such responsibility is shared by everyone and lies on two levels: first, on a public level, as States members of the same family of nations. Secondly, on a personal level, as individuals and members of the same human family, and as people of good will. Whatever our role or status may be, each of us bears various degrees of responsibility: how can we possibly envisage pushing the button to launch a nuclear bomb? How can we, in good conscience, be engaged in modernizing nuclear arsenals? It is fitting that this Treaty also recognizes that education for peace can play an important role, helping young people become aware of the risks and consequences of nuclear weapons for current and future generations.


Existing disarmament treaties are more than just legal obligations. They are also moral commitments based on trust among States and among their representatives, rooted in the trust that citizens place in their governments, with ethical consequences for current and future generations of humanity. Adherence to, and respect for, international disarmament agreements and international law is not a form of weakness. On the contrary, it is a source of strength and responsibility since it increases trust and stability. Furthermore, as is the case with this Treaty, it provides for international cooperation and assistance to victims as well as to the environment: here my thoughts go to the Hibakusha, the survivors of the bombing of Hiroshima and Nagasaki, and to all the victims of nuclear arms testing.


In conclusion, as you lay the foundation for the implementation of this Treaty, I wish to encourage you, representatives of States, international organizations and civil society, to continue along your chosen path of promoting a culture of life and peace based upon the dignity of the human person and the awareness that we are all brothers and sisters. For its part, the Catholic Church remains irrevocably committed to promoting peace between peoples and nations and fostering education for peace throughout its institutions. This is a duty to which the Church feels bound before God and every man and woman in our world. May the Lord bless each of you and your efforts in the service of justice and peace.
From the Vatican, 21 June 2022
FRANCIS
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/21/0476/00978.html

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #434 : 22 Июня, 2022, 22:01:06 »
Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.         
  Александр Набабкин-Романюк.


L’Udienza Generale, 22.06.2022
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla Vecchiaia, ha incentrato la sua riflessione sul tema “Pietro e Giovanni” (Lettura: Gv 21,17-18).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello alla solidarietà nei confronti della popolazione afghana provata da un violento terremoto che ha causato ingenti danni e un invito alla preghiera per la comunità cattolica messicana, colpita dall’uccisione di due religiosi gesuiti e di un laico, e per il popolo ucraino.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Catechesi del Santo Padre in lingua italiana


Cari fratelli e sorelle, benvenuti e buongiorno!
Nel nostro percorso di catechesi sulla vecchiaia, oggi meditiamo sul dialogo tra Gesù risorto e Pietro al termine del Vangelo di Giovanni (21,15-23). È un dialogo commovente, da cui traspare tutto l’amore di Gesù per i suoi discepoli, e anche la sublime umanità del suo rapporto con loro, in particolare con Pietro: un rapporto tenero, ma non melenso, diretto, forte, libero, e aperto. Un rapporto da uomini e nella verità. Così, il Vangelo di Giovanni, così spirituale, così alto, si chiude con una struggente richiesta e offerta d’amore tra Gesù e Pietro, che si intreccia, con tutta naturalezza, con una discussione tra di loro. L’Evangelista ci avverte: egli rende testimonianza alla verità dei fatti (cfr Gv 21,24). Ed è in essi che va cercata la verità.


Possiamo chiederci: siamo capaci noi di custodire il tenore di questo rapporto di Gesù con i discepoli, secondo quel suo stile così aperto, così franco, così diretto, così umanamente reale? Com’è il nostro rapporto con Gesù? È così, come quello degli apostoli con Lui? Non siamo, invece, molto spesso tentati di chiudere la testimonianza del Vangelo nel bozzolo di una rivelazione “zuccherosa”, alla quale aggiungere la nostra venerazione di circostanza? Questo atteggiamento, che sembra rispetto, in realtà ci allontana dal vero Gesù, e diventa persino occasione per un cammino di fede molto astratto, molto autoreferenziale, molto mondano, che non è la strada di Gesù. Gesù è il Verbo di Dio fatto uomo, e Lui si comporta come uomo, Lui ci parla come uomo, Dio-uomo. Con questa tenerezza, con questa amicizia, con questa vicinanza. Gesù non è come quell’immagine zuccherosa delle immaginette, no: Gesù è alla mano nostra, è vicino a noi.


Nel corso della discussione di Gesù con Pietro, troviamo due passaggi che riguardano precisamente la vecchiaia e la durata del tempo: il tempo della testimonianza, il tempo della vita. Il primo passo è l’avvertimento di Gesù a Pietro: quando eri giovane eri autosufficiente, quando sarai vecchio non sarai più così padrone di te e della tua vita. Dillo a me che devo andare in carrozzina, eh! Ma è così, la vita è così: con la vecchiaia ti vengono tutte queste malattie e dobbiamo accettarle come vengono, no? Non abbiamo la forza dei giovani! E anche la tua testimonianza – dice Gesù – si accompagnerà a questa debolezza. Tu devi essere testimone di Gesù anche nella debolezza, nella malattia e nella morte. C’è un passo bello di Sant’Ignazio di Loyola che dice: “Così come nella vita, anche nella morte dobbiamo dare testimonianza di discepoli di Gesù”. Il fine vita dev’essere un fine vita di discepoli: di discepoli di Gesù, perché il Signore ci parla sempre secondo l’età che abbiamo. L’Evangelista aggiunge il suo commento, spiegando che Gesù alludeva alla testimonianza estrema, quella del martirio e della morte. Ma possiamo ben intendere più in generale il senso di questo ammonimento: la tua sequela dovrà imparare a lasciarsi istruire e plasmare dalla tua fragilità, dalla tua impotenza, dalla tua dipendenza da altri, persino nel vestirsi, nel camminare. Ma tu «seguimi» (v. 19). La sequela di Gesù va sempre avanti, con buona salute, con non buona salute, con autosufficienza e con non autosufficienza fisica, ma la sequela di Gesù è importante: seguire Gesù sempre, a piedi, di corsa, lentamente, in carrozzina, ma seguirlo sempre. La sapienza della sequela deve trovare la strada per rimanere nella sua professione di fede – così risponde Pietro: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (vv. 15.16.17) –, anche nelle condizioni limitate della debolezza e della vecchiaia. A me piace parlare con gli anziani guardandoli negli occhi: hanno quegli occhi brillanti, quegli occhi che ti parlano più delle parole, la testimonianza di una vita. E questo è bello, dobbiamo conservarlo fino alla fine. Seguire Gesù così, pieni di vita.


Questo colloquio tra Gesù e Pietro contiene un insegnamento prezioso per tutti i discepoli, per tutti noi credenti. E anche per tutti gli anziani. Imparare dalla nostra fragilità ad esprimere la coerenza della nostra testimonianza di vita nelle condizioni di una vita largamente affidata ad altri, largamente dipendente dall’iniziativa di altri. Con la malattia, con la vecchiaia la dipendenza cresce e non siamo più autosufficienti come prima; cresce la dipendenza dagli altri e anche lì matura la fede, anche lì c’è Gesù con noi, anche lì sgorga quella ricchezza della fede ben vissuta durante la strada della vita.


Ma di nuovo dobbiamo interrogarci: disponiamo di una spiritualità realmente capace di interpretare la stagione – ormai lunga e diffusa – di questo tempo della nostra debolezza affidata ad altri, più che alla potenza della nostra autonomia? Come si rimane fedeli alla sequela vissuta, all’amore promesso, alla giustizia cercata nel tempo della nostra capacità di iniziativa, nel tempo della fragilità, nel tempo della dipendenza, del congedo, nel tempo di allontanarsi dal protagonismo della nostra vita? Non è facile allontanarsi dall’essere protagonista, non è facile.


Questo nuovo tempo è anche un tempo della prova, certamente. Incominciando dalla tentazione – molto umana, indubbiamente, ma anche molto insidiosa –, di conservare il nostro protagonismo. E alle volte il protagonista deve diminuire, deve abbassarsi, accettare che la vecchiaia ti abbassa come protagonista. Ma avrai un altro modo di esprimerti, un altro modo di partecipare nella famiglia, nella società, nel gruppo degli amici. Ed è la curiosità che viene a Pietro: “E lui?”, dice Pietro, vedendo il discepolo amato che li seguiva (cfr vv. 20-21). Ficcare il naso nella vita degli altri. E no: Gesù dice: “Stai zitto!”. Deve proprio stare nella “mia” sequela? Deve forse occupare il “mio” spazio? Sarà il mio successore? Sono domande che non servono, che non aiutano. Deve durare più di me e prendersi il mio posto? E la risposta di Gesù è franca e persino ruvida: «A te che importa? Tu seguimi» (v. 22), Come a dire: prenditi cura della tua vita, della tua situazione attuale e non ficcare il naso nella vita altrui. Tu seguimi. Questo sì, è importante: la sequela di Gesù, seguire Gesù nella vita e nella morte, nella salute e nella malattia, nella vita quando è prospera con tanti successi e nella vita anche difficile con tanti momenti brutti di caduta. E quando noi vogliamo metterci nella vita degli altri, Gesù risponde: “A te che importa? Tu seguimi”. Bellissimo. Noi anziani non dovremmo essere invidiosi dei giovani che prendono la loro strada, che occupano il nostro posto, che durano più di noi. L’onore della nostra fedeltà all’amore giurato, la fedeltà alla sequela della fede che abbiamo creduto, anche nelle condizioni che ci avvicinano al congedo della vita, sono il nostro titolo di ammirazione per le generazioni che vengono e di grato riconoscimento da parte del Signore. Imparare a congedarsi: questa è la saggezza degli anziani. Ma congedarsi bene, con il sorriso; imparare a congedarsi in società, a congedarsi con gli altri. La vita dell’anziano è un congedo, lento, lento, ma un congedo gioioso: ho vissuto la vita, ho conservato la mia fede. Questo è bello, quando un anziano può dire questo: “Ho vissuto la vita, questa è la mia famiglia; ho vissuto la vita, sono stato un peccatore ma anche ho fatto del bene”. E questa pace che viene, questo è il congedo dell’anziano.


Persino la sequela forzatamente inoperosa, fatta di emozionata contemplazione e di ascolto rapito della parola del Signore – come quella di Maria, sorella di Lazzaro – diventerà la parte migliore della loro vita, della vita di noi anziani. Che mai questa parte ci sarà più tolta, mai (cfr Lc 10,42). Guardiamo gli anziani, guardiamoli, e aiutiamoli affinché possano vivere ed esprimere la loro saggezza di vita, che possano darci quello che hanno di bello e di buono. Guardiamoli, ascoltiamoli. E noi anziani, guardiamo i giovani sempre con un sorriso: loro seguiranno la strada, loro porteranno avanti quello che abbiamo seminato, anche quello che noi non abbiamo seminato perché non abbiamo avuto il coraggio o l’opportunità: loro lo porteranno avanti. Ma sempre questo rapporto di reciprocità: un anziano non può essere felice senza guardare i giovani e i giovani non possono andare avanti nella vita senza guardare gli anziani. Grazie.


https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/06/22/0477/00979.html
« Последнее редактирование: 22 Июня, 2022, 22:05:43 »