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Автор Тема: Новости Ватикана  (Прочитано 238537 раз)

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #455 : 21 Июля, 2022, 20:30:55 »
               Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин. 
                            Александр Набабкин-Романюк.



Messaggio del Santo Padre Francesco per la Celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del Creato
(1° settembre 2022), 21.07.2022

                       Cari fratelli e sorelle!
                       “Ascolta la voce del creato” è il tema e l’invito del Tempo del Creato di quest’anno. Il periodo ecumenico inizia il 1° settembre con la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e si conclude il 4 ottobre con la festa di San Francesco. È un momento speciale per tutti i cristiani per pregare e prendersi cura insieme della nostra casa comune. Originariamente ispirato dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, questo tempo è un’opportunità per coltivare la nostra “conversione ecologica”, una conversione incoraggiata da San Giovanni Paolo II come risposta alla “catastrofe ecologica” preannunciata da San Paolo VI già nel 1970[1].
                    Se impariamo ad ascoltarla, notiamo nella voce del creato una sorta di dissonanza. Da un lato, è un dolce canto che loda il nostro amato Creatore; dall’altro, è un grido amaro che si lamenta dei nostri maltrattamenti umani.
                    Il dolce canto del creato ci invita a praticare una «spiritualità ecologica» (Lett. enc. Laudato si’, 216), attenta alla presenza di Dio nel mondo naturale. È un invito a fondare la nostra spiritualità sull’«amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» (ibid., 220). Per i discepoli di Cristo, in particolare, tale luminosa esperienza rafforza la consapevolezza che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3). In questo Tempo del Creato, riprendiamo a pregare nella grande cattedrale del creato, godendo del «grandioso coro cosmico»[2] di innumerevoli creature che cantano le lodi a Dio. Uniamoci a San Francesco d’Assisi nel cantare: “Sii lodato, mio Signore, con tutte le tue creature” (cfr Cantico di frate sole). Uniamoci al Salmista nel cantare: «Ogni vivente dia lode al Signore!» (Sal 150,6).
                  Purtroppo, quella dolce canzone è accompagnata da un grido amaro. O meglio, da un coro di grida amare. Per prima, è la sorella madre terra che grida. In balia dei nostri eccessi consumistici, essa geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione. Poi, sono le diverse creature a gridare. Alla mercé di un «antropocentrismo dispotico» (Laudato si’, 68), agli antipodi della centralità di Cristo nell’opera della creazione, innumerevoli specie si stanno estinguendo, cessando per sempre i loro inni di lode a Dio. Ma sono anche i più poveri tra noi a gridare. Esposti alla crisi climatica, i poveri soffrono più fortemente l’impatto di siccità, inondazioni, uragani e ondate di caldo che continuano a diventare sempre più intensi e frequenti. Ancora, gridano i nostri fratelli e sorelle di popoli nativi. A causa di interessi economici predatori, i loro territori ancestrali vengono invasi e devastati da ogni parte, lanciando «un grido che sale al cielo» (Esort. Ap. postsin. Querida Amazonia, 9). Infine, gridano i nostri figli. Minacciati da un miope egoismo, gli adolescenti chiedono ansiosi a noi adulti di fare tutto il possibile per prevenire o almeno limitare il collasso degli ecosistemi del nostro pianeta.
                  Ascoltando queste grida amare, dobbiamo pentirci e modificare gli stili di vita e i sistemi dannosi. Sin dall’inizio, l’appello evangelico «Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!» (Mt 3,2), invitando a un nuovo rapporto con Dio, implica anche un rapporto diverso con gli altri e con il creato. Lo stato di degrado della nostra casa comune merita la stessa attenzione di altre sfide globali quali le gravi crisi sanitarie e i conflitti bellici. «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (Laudato si’, 217).
                  Come persone di fede, ci sentiamo ulteriormente responsabili di agire, nei comportamenti quotidiani, in consonanza con tale esigenza di conversione. Ma essa non è solo individuale: «La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria» (ibid., 219). In questa prospettiva, anche la comunità delle nazioni è chiamata a impegnarsi, specialmente negli incontri delle Nazioni Unite dedicati alla questione ambientale, con spirito di massima cooperazione.
                   Il vertice COP27 sul clima, che si terrà in Egitto a novembre 2022, rappresenta la prossima opportunità per favorire tutti insieme una efficace attuazione dell’Accordo di Parigi. È anche per questo motivo che ho recentemente disposto che la Santa Sede, a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, aderisca alla Convenzione-Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici e all’Accordo di Parigi, con l’auspicio che l’umanità del XXI secolo «possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (ibid., 165). Raggiungere l’obiettivo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C è alquanto impegnativo e richiede la responsabile collaborazione tra tutte le nazioni a presentare piani climatici, o Contributi Determinati a livello Nazionale, più ambiziosi, per ridurre a zero le emissioni nette di gas serra il più urgentemente possibile. Si tratta di “convertire” i modelli di consumo e di produzione, nonché gli stili di vita, in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e dello sviluppo umano integrale di tutti i popoli presenti e futuri, uno sviluppo fondato sulla responsabilità, sulla prudenza/precauzione, sulla solidarietà e sull’attenzione ai poveri e alle generazioni future. Alla base di tutto dev’esserci l’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente che, per noi credenti, è specchio dell’«amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino»[3]. La transizione operata da questa conversione non può trascurare le esigenze della giustizia, specialmente per i lavoratori maggiormente colpiti dall’impatto del cambiamento climatico.
                 A sua volta, il vertice COP15 sulla biodiversità, che si terrà in Canada a dicembre, offrirà alla buona volontà dei governi l’importante opportunità di adottare un nuovo accordo multilaterale per fermare la distruzione degli ecosistemi e l’estinzione delle specie. Secondo l’antica saggezza dei Giubilei, abbiamo bisogno di «ricordare, tornare, riposare e ripristinare»[4]. Per fermare l’ulteriore collasso della “rete della vita” – la biodiversità – che Dio ci ha donato, preghiamo e invitiamo le nazioni ad accordarsi su quattro principi chiave: 1. costruire una chiara base etica per la trasformazione di cui abbiamo bisogno al fine di salvare la biodiversità; 2. lottare contro la perdita di biodiversità, sostenerne la conservazione e il recupero e soddisfare i bisogni delle persone in modo sostenibile; 3. promuovere la solidarietà globale, alla luce del fatto che la biodiversità è un bene comune globale che richiede un impegno condiviso; 4. mettere al centro le persone in situazioni di vulnerabilità, comprese quelle più colpite dalla perdita di biodiversità, come le popolazioni indigene, gli anziani e i giovani.
                 Lo ripeto: «Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari – di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti»[5].
                Non si può non riconoscere l’esistenza di un «debito ecologico» (Laudato si’, 51) delle nazioni economicamente più ricche, che hanno inquinato di più negli ultimi due secoli; esso richiede loro di compiere passi più ambiziosi sia alla COP27 che alla COP15. Ciò comporta, oltre a un’azione determinata all’interno dei loro confini, di mantenere le loro promesse di sostegno finanziario e tecnico per le nazioni economicamente più povere, che stanno già subendo il peso maggiore della crisi climatica. Inoltre, sarebbe opportuno pensare urgentemente anche a un ulteriore sostegno finanziario per la conservazione della biodiversità. Anche i Paesi economicamente meno ricchi hanno responsabilità significative ma “diversificate” (cfr ibid., 52); i ritardi degli altri non possono mai giustificare la propria inazione. È necessario agire, tutti, con decisione. Stiamo raggiungendo “un punto di rottura” (cfr ibid., 61).
                 Durante questo Tempo del Creato, preghiamo affinché i vertici COP27 e COP15 possano unire la famiglia umana (cfr ibid., 13) per affrontare decisamente la doppia crisi del clima e della riduzione della biodiversità. Ricordando l’esortazione di San Paolo a rallegrarsi con chi gioisce e a piangere con chi piange (cfr Rm 12,15), piangiamo con il grido amaro del creato, ascoltiamolo e rispondiamo con i fatti, perché noi e le generazioni future possiamo ancora gioire con il dolce canto di vita e di speranza delle creature.
                 Roma, San Giovanni in Laterano, 16 luglio 2022, Memoria della B.V. Maria del Monte Carmelo.
                                                                                                                                                           FRANCESCO
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/07/21/0547/01107.html

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #456 : 26 Июля, 2022, 22:42:27 »
            Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.                             Александр Набабкин-Романюк.


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Canada – Santa Messa nel Commonwealth Stadium, 26.07.2022                  Oggi è la festa dei nonni di Gesù; il Signore ha voluto che ci incontrassimo così numerosi proprio in questa occasione tanto cara a voi, come a me. Nella casa di Gioacchino e Anna il piccolo Gesù ha conosciuto i suoi anziani e ha sperimentato la vicinanza, la tenerezza e la saggezza dei nonni. Pensiamo anche noi ai nostri nonni e riflettiamo su due aspetti importanti.
                 Il primo: siamo figli di una storia da custodire. Non siamo individui isolati, non siamo isole, nessuno viene al mondo slegato dagli altri. Le nostre radici, l’amore che ci ha atteso e che abbiamo ricevuto venendo al mondo, gli ambienti familiari in cui siamo cresciuti, fanno parte di una storia unica, che ci ha preceduti e generati. Non l’abbiamo scelta noi, ma ricevuta in dono; ed è un dono che siamo chiamati a custodire. Perché, come ci ha ricordato il Libro del Siracide, siamo «i posteri» di chi ci ha preceduto, siamo la loro «preziosa eredità» (Sir 44,11). Un’eredità che, al di là delle prodezze o dell’autorità di alcuni, dell’intelligenza o della creatività di altri nel canto o nella poesia, ha il suo centro nella giustizia, nell’essere fedeli a Dio e alla sua volontà. E questo ci hanno trasmesso. Per accogliere veramente chi siamo e quanto siamo preziosi, abbiamo bisogno di assumere in noi coloro da cui discendiamo, coloro che non hanno pensato solo a sé stessi, ma ci hanno trasmesso il tesoro della vita. Siamo qui grazie ai genitori, ma anche grazie ai nonni che ci hanno fatto sperimentare di essere benvenuti nel mondo. Sono stati spesso loro ad amarci senza riserve e senza attendere qualcosa da noi: loro ci hanno presi per mano quando avevamo paura, rassicurati nel buio della notte, incoraggiati quando alla luce del sole dovevamo affrontare le scelte della vita. Grazie ai nonni abbiamo ricevuto una carezza da parte della storia che ci ha preceduto: abbiamo imparato che il bene, la tenerezza e la saggezza sono radici salde dell’umanità. Nella casa dei nonni in tanti abbiamo respirato il profumo del Vangelo, la forza di una fede che ha il sapore di casa. Grazie a loro abbiamo scoperto una fede familiare, una fede domestica; sì, è così, perché la fede si comunica essenzialmente così, si comunica “in dialetto”, si comunica attraverso l’affetto e l’incoraggiamento, la cura e la vicinanza.
               Questa è la nostra storia da custodire, la storia di cui siamo eredi: siamo figli perché siamo nipoti. I nonni hanno impresso in noi il timbro originale del loro modo di essere, dandoci dignità, fiducia in noi stessi e negli altri. Essi ci hanno trasmesso qualcosa che dentro di noi non potrà mai cancellarsi e, allo stesso tempo, ci hanno permesso di essere persone uniche, originali e libere. Così, proprio dai nonni abbiamo appreso che l’amore non è mai una costrizione, non priva mai l’altro della sua libertà interiore. Gioacchino e Anna hanno amato così Maria e hanno amato Gesù; e Maria ha amato così Gesù, con un amore che non lo ha mai soffocato né trattenuto, ma lo ha accompagnato ad abbracciare la missione per cui era venuto nel mondo. Cerchiamo di imparare questo come singoli e come Chiesa: mai opprimere la coscienza dell’altro, mai incatenare la libertà di chi ci sta di fronte e, soprattutto, mai mancare di amore e di rispetto per le persone che ci hanno preceduto e ci sono affidate, tesori preziosi che custodiscono una storia più grande di loro.
               Custodire la storia che ci ha generato – ci dice ancora il Libro del Siracide – significa non offuscare “la gloria” degli antenati: non smarrirne la memoria, non dimenticarci della storia che ha partorito la nostra vita, ricordarci sempre di quelle mani che ci hanno accarezzato e tenuto in braccio, perché è a questa fonte che troviamo consolazione nei momenti di sconforto, luce nel discernimento, coraggio per affrontare le sfide della vita. Ma custodire la storia che ci ha generato significa anche tornare sempre a quella scuola, dove abbiamo appreso e vissuto l’amore. Significa, di fronte alle scelte da prendere oggi, domandarci che cosa farebbero al nostro posto gli anziani più saggi che abbiamo conosciuto, che cosa ci consigliano o ci consiglierebbero i nostri nonni e bisnonni.
                Cari fratelli e sorelle, chiediamoci allora: siamo figli e nipoti che sanno custodire la ricchezza ricevuta? Facciamo memoria dei buoni insegnamenti ereditati? Parliamo con i nostri anziani, dedichiamo tempo per ascoltarli? E ancora, nelle nostre case, sempre più equipaggiate, moderne e funzionali, sappiamo ricavare uno spazio degno per conservare i loro ricordi, un luogo apposito, un piccolo sacrario familiare che, attraverso immagini e oggetti cari, ci permetta anche di elevare il pensiero e la preghiera a chi ci ha preceduto? Abbiamo conservato la Bibbia e il rosario dei nostri antenati? Pregare per loro e in unione con loro, dedicare tempo a fare memoria, custodire l’eredità: nella nebbia della dimenticanza che assale i nostri tempi vorticosi, fratelli e sorelle, è fondamentale prendersi cura delle radici. È così che cresce l’albero, è così che si costruisce il futuro.
                   Giungiamo così a riflettere su un secondo aspetto: oltre che figli di una storia da custodire siamo artigiani di una storia da costruire. Ciascuno può riconoscere di essere quel che è, con le sue luci e le sue ombre, a seconda dell’amore che ha ricevuto o che gli è mancato. Il mistero della vita umana è questo: siamo tutti figli di qualcuno, generati e plasmati da qualcuno, ma diventando adulti siamo anche chiamati a essere generativi, padri, madri e nonni di qualcun altro. E dunque, guardando alla persona che siamo oggi, che cosa vogliamo fare di noi stessi? I nonni da cui proveniamo, gli anziani che hanno sognato, sperato e si sono sacrificati per noi, ci rivolgono un interrogativo fondamentale: che società vogliamo costruire? Abbiamo ricevuto tanto dalle mani di chi ci ha preceduto: che cosa vogliamo lasciare in eredità ai nostri posteri? Una fede viva o “all’acqua di rose”, una società fondata sul profitto dei singoli o sulla fraternità, un mondo in pace o in guerra, un creato devastato o una casa ancora accogliente?
                  E non dimentichiamo che questo movimento che dà vita va dalle radici ai rami, alle foglie, ai fiori, ai frutti dell’albero. La vera tradizione si esprime in questa dimensione verticale: dal basso verso l’alto. Stiamo attenti a non cadere nella caricatura della tradizione, che non si muove in una linea verticale – dalle radici ai frutti – ma in una linea orizzontale – avanti/indietro – che ci porta alla cultura dell’ “indietrismo” come rifugio egoistico; e che non fa altro che incasellare il presente e conservarlo nella logica del “si è sempre fatto così”.
                Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù dice ai discepoli che sono beati perché possono vedere e ascoltare ciò che tanti profeti e giusti hanno soltanto potuto desiderare (cfr Mt 13,16-17). Molti, infatti avevano creduto nella promessa di Dio sulla venuta del Messia, avevano preparato la strada per Lui, e ne avevano annunciato l’arrivo. Ora che il Messia è giunto, però, quanti possono vederlo e ascoltarlo sono chiamati ad accoglierlo e annunciarlo.
                Fratelli e sorelle, questo vale anche per noi. Coloro che ci hanno preceduto ci hanno trasmesso una passione, una forza e un anelito, un fuoco che tocca a noi ravvivare; non si tratta di custodire delle ceneri, ma di ravvivare il fuoco che essi hanno acceso. I nostri nonni e i nostri anziani hanno desiderato vedere un mondo più giusto, più fraterno, più solidale e hanno lottato per darci un futuro. Ora, tocca a noi non deluderli. Tocca a noi farci carico di questa tradizione che abbiamo ricevuto, perché la tradizione è la fede viva dei nostri morti. Per favore, non trasformiamola in tradizionalismo, che è la fede morta dei vivi, come ha detto un pensatore. Sostenuti da loro, dai nostri padri, che sono le nostre radici, tocca a noi portare frutto. Siamo noi i rami che devono fiorire e immettere semi nuovi nella storia. E allora, facciamoci una domanda concreta: di fronte alla storia di salvezza a cui appartengo e di fronte a chi mi ha preceduto e amato, io che cosa faccio? Ho un ruolo unico e insostituibile nella storia: che traccia sto lasciando dietro al mio cammino, che cosa sto facendo, cosa sto lasciando a chi mi segue, che cosa sto dando di me? Tante volte si misura la vita in base ai soldi che si guadagnano, alla carriera che si realizza, al successo e alla considerazione che si ricevono dagli altri. Ma questi non sono criteri generativi. La questione è: sto generando? Sto generando vita? Sto immettendo nella storia un amore nuovo e rinnovato? Sto annunciando il Vangelo dove mi trovo a vivere, sto servendo qualcuno gratuitamente, come chi mi ha preceduto ha fatto con me? Che cosa faccio per la mia Chiesa, per la mia città e la mia società? Fratelli e sorelle, è facile criticare, ma il Signore non ci vuole solo critici del sistema, non ci vuole chiusi, non vuole che siamo “indietristi”, di quelli che si tirano indietro, come dice l’autore della Lettera agli Ebrei (cfr 10,39), ma vuole che siamo artigiani di una storia nuova, tessitori di speranza, costruttori di futuro, operatori di pace.
             Gioacchino e Anna intercedano per noi: ci aiutino a custodire la storia che ci ha generato e a costruire una storia generativa. Ci ricordino l’importanza spirituale di onorare i nostri nonni e i nostri anziani, di fare tesoro della loro presenza per costruire un avvenire migliore. Un avvenire dove gli anziani non vengono scartati perché funzionalmente “non servono più”; un avvenire che non giudichi il valore delle persone solo da quanto producono; un avvenire che non sia indifferente verso chi, ormai avanti con l’età, ha bisogno di più tempo, ascolto e attenzione; un avvenire in cui per nessuno si ripeta la storia di violenza ed emarginazione subita dai nostri fratelli e sorelle indigeni. È un avvenire possibile se, con l’aiuto di Dio, non spezziamo il legame con chi ci ha preceduto e alimentiamo il dialogo con chi verrà dopo di noi: giovani e anziani, nonni e nipoti, insieme. Andiamo avanti insieme, sogniamo insieme e non dimentichiamo il consiglio di Paolo al suo discepolo Timoteo: “Ricordati di tua madre e di tua nonna” (cfr 2 Tm 1,5).
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/07/26/0558/01126.html

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« Ответ #457 : 27 Июля, 2022, 22:29:48 »
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       Александр Набабкин-Романюк.


Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Canada – Partecipazione al Lac Ste.
Anne Pilgrimage e Liturgia della Parola, 26.07.2022


  Cari fratelli e sorelle, âba-wash-did! Tansi! Oki!
                  È bello per me essere qui, pellegrino con voi e in mezzo a voi. In questi giorni, oggi specialmente, sono stato colpito dal suono dei tamburi che mi hanno accompagnato ovunque sono andato. Questo battito dei tamburi mi sembrava echeggiare il battito di molti cuori: i cuori che, nei secoli, hanno vibrato presso queste acque; i cuori di tanti pellegrini che hanno scandito insieme il passo per raggiungere questo “lago di Dio”! Qui si può veramente cogliere il battito corale di un popolo pellegrino, di generazioni che si sono messe in cammino verso il Signore per sperimentare la sua opera di guarigione. Quanti cuori sono giunti qui desiderosi e ansimanti, gravati dai pesi della vita, e presso queste acque hanno trovato la consolazione e la forza per andare avanti! Anche qui, immersi nel creato, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra. E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita. Riandiamo così oggi alle nostre sorgenti di vita: a Dio, ai genitori e, nel giorno e nella casa di Sant’Anna, ai nonni, che saluto con grande affetto.
                Trasportati da questi battiti vitali, siamo ora qui, in silenzio, contempliamo le acque di questo lago. Esso ci aiuta a tornare anche alle fonti della fede. Ci permette infatti di peregrinare idealmente fino ai luoghi santi: di immaginare Gesù, che svolse gran parte del suo ministero proprio sulle rive di un lago, il Lago di Galilea. Lì scelse e chiamò gli Apostoli, proclamò le Beatitudini, narrò il maggior numero di parabole, compì segni e guarigioni. Ora, quel lago costituiva il cuore della «Galilea delle genti» (Mt 4,15), una zona periferica, di commercio, dove confluivano svariate popolazioni, colorando la regione di tradizioni e culti disparati. Si trattava del luogo più distante, geograficamente e culturalmente, dalla purezza religiosa, che si concentrava a Gerusalemme, presso il tempio. Possiamo dunque immaginare quel lago, chiamato mare di Galilea, come un condensato di differenze: sulle sue rive si incontravano pescatori e pubblicani, centurioni e schiavi, farisei e poveri, uomini e donne delle più variegate provenienze ed estrazioni sociali. Lì, proprio lì, Gesù predicò il Regno di Dio: non a gente religiosa selezionata, ma a popolazioni diverse che accorrevano da più parti come oggi, predicò accogliendo tutti in un teatro naturale come questo. Dio elesse quel contesto poliedrico ed eterogeneo per annunciare al mondo qualcosa di rivoluzionario: per esempio, “porgete l’altra guancia, amate i nemici, vivete da fratelli per essere figli di Dio, Padre che fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (cfr Mt 5,38-48). Così proprio quel lago, “meticciato di diversità”, divenne la sede di un inaudito annuncio di fraternità; di una rivoluzione senza morti e feriti, la rivoluzione dell’amore. E qui, sulle rive di questo lago, il suono dei tamburi che attraversa i secoli e unisce genti diverse, ci riporta fino ad allora. Ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, alla comunione delle differenze, per ripartire insieme, perché tutti – tutti! – siamo pellegrini in cammino.
                 Fratelli, sorelle, pellegrini a queste acque, che cosa possiamo attingervi? Ci aiuta a scoprirlo la Parola di Dio. Il profeta Ezechiele ha ripetuto per due volte che le acque fatte scaturire dal tempio, per il popolo di Dio, “danno la vita” e “risanano” (cfr Ez 47,8-9).
                  Danno la vita. Penso alle nonne che sono qui con noi, tante! Carissime, i vostri cuori sono sorgenti da cui è scaturita l’acqua viva della fede, con la quale avete dissetato figli e nipoti. Mi colpisce il ruolo vitale delle donne nelle comunità indigene: occupano un posto di rilievo in quanto fonti benedette di vita non solo fisica, ma anche spirituale. E, pensando alle vostre kokum, ripenso anche alla mia nonna. Da lei ho ricevuto il primo annuncio della fede e ho imparato che il Vangelo si trasmette così, attraverso la tenerezza della cura e la saggezza della vita. La fede raramente nasce leggendo un libro da soli in salotto, ma si diffonde in un clima familiare, si trasmette nella lingua delle madri, con il dolce canto dialettale delle nonne. Mi scalda il cuore vedere qui tanti nonni e bisnonni. Grazie! Vi ringrazio e vorrei dire a quanti hanno anziani a casa, in famiglia: avete un tesoro! Custodite tra le vostre mura una sorgente di vita; per favore, prendetevene cura, come dell’eredità più preziosa da amare e custodire.
                Il profeta diceva che le acque, oltre a dare vita, risanano. Questo aspetto ci riporta sulle rive del lago di Galilea, dove Gesù «guarì molti che erano affetti da varie malattie» (Mc 1,34). Lì, «venuta la sera, gli portavano tutti i malati» (v. 32). Questa sera immaginiamoci attorno al lago con Gesù, mentre Lui si avvicina, si china e, con pazienza, compassione e tenerezza, guarisce tanti malati nel corpo e nello spirito: indemoniati, lebbrosi, paralitici, ciechi, ma anche persone affrante e sfiduciate, smarrite e ferite. Gesù è venuto e viene ancora a prendersi cura di noi, a consolare e risanare la nostra umanità sola e sfinita. A tutti, anche a noi, rivolge lo stesso invito: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). O, come nel brano che abbiamo ascoltato stasera: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva» (Gv 7,37).
                Fratelli, sorelle, tutti noi abbiamo bisogno della guarigione di Gesù, medico delle anime e dei corpi. Signore, come la gente sulle sponde del mare di Galilea non aveva paura di gridarti i suoi bisogni, così noi stasera, Signore, veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, ti portiamo i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni. In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini. Signore, aiutaci a guarire le nostre ferite. Sappiamo che ciò richiede impegno, cura e fatti concreti da parte nostra; ma sappiamo pure, Signore, che da soli non ce la possiamo fare. Ci affidiamo a Te e all’intercessione della tua madre e della tua nonna.
                 Sì, Signore, ci affidiamo all’intercessione della tua madre e della tua nonna, perché le madri e le nonne aiutano a risanare le ferite del cuore. Durante i drammi della conquista, fu la Madonna di Guadalupe a trasmettere la retta fede agli indigeni, parlando la loro lingua, vestendo i loro abiti, senza violenze e senza imposizioni. E poco dopo, con l’arrivo della stampa, vennero pubblicate le prime grammatiche e i primi catechismi in lingue indigene. Quanto bene hanno fatto in questo senso i missionari autenticamente evangelizzatori per preservare in tante parti del mondo le lingue e le culture autoctone! In Canada, questa “inculturazione materna” è avvenuta per opera di sant’Anna, unendo la bellezza delle tradizioni indigene e della fede, e plasmandole con la saggezza di una nonna, che è mamma due volte. Anche la Chiesa è donna, anche la Chiesa è madre. Non c’è infatti mai stato un momento nella sua storia in cui la fede non fosse trasmessa in lingua materna, dalle madri e dalle nonne. Invece, parte dell’eredità dolorosa che stiamo affrontando nasce dall’aver impedito alle nonne indigene di trasmettere la fede nella loro lingua e nella loro cultura. Questa perdita è certamente una tragedia, ma la vostra presenza qui è una testimonianza di resilienza e di ripartenza, di pellegrinaggio verso la guarigione, di apertura del cuore a Dio che risana il nostro essere comunità. Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: abbiamo bisogno di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico. Cari fratelli e sorelle, aiutiamoci a dare il nostro contributo per edificare con l’aiuto di Dio una Chiesa madre come a Lui piace: capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno e a ciascuna; che non vada contro qualcuno, ma che vada incontro a chiunque.
                 Le folle del lago di Galilea che facevano ressa attorno a Gesù erano fatte principalmente di gente comune, gente semplice, che portava a Lui i propri bisogni e le proprie ferite. Similmente, se vogliamo prenderci cura e risanare la vita delle nostre comunità, non possiamo che partire dai poveri, dai più emarginati. Troppo spesso ci si lascia guidare dagli interessi di pochi che stanno bene; occorre guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; è necessario saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: “Non lasciateci soli!”. È anche il grido di anziani che rischiano di morire da soli in casa o abbandonati presso una struttura, o di malati scomodi ai quali, al posto dell’affetto, viene somministrata la morte. È il grido soffocato di ragazzi e delle ragazze più interrogati che ascoltati, i quali delegano la loro libertà a un telefonino, mentre nelle stesse strade altri loro coetanei vagano persi, anestetizzati da qualche divertimento, in preda a dipendenze che li rendono tristi e insofferenti, incapaci di credere in sé stessi, di amare quello che sono e la bellezza della vita che hanno. Non lasciateci soli è il grido di chi vorrebbe un mondo migliore, ma non sa da dove iniziare.
                Gesù, che ci guarisce e consola con l’acqua viva del suo Spirito, stasera nel Vangelo ci chiede che anche da noi, dal grembo di chi crede, “sgorghino fiumi di acqua viva” (cfr v. 38). E noi, sappiamo dissetare le aridità dei fratelli e delle sorelle? Mentre continuiamo a chiedere consolazione a Dio, sappiamo anche darne agli altri? Quante volte ci liberiamo da tanti pesi interiori, per esempio dal non sentirci amati e rispettati, proprio incominciando ad amare gli altri gratuitamente! Nelle nostre solitudini e insofferenze Gesù ci spinge a uscire, ci spinge a dare, ci spinge ad amare. E allora, mi chiedo: che cosa faccio io per chi ha bisogno di me? Guardando alle popolazioni indigene, pensando alle loro storie e al dolore che hanno subito, che cosa faccio io per loro le popolazioni indigene? Ascolto con un po’ di curiosità mondana e mi scandalizzo per quanto accaduto in passato, oppure faccio qualcosa di concreto per loro? Prego, incontro, leggo, mi documento, mi lascio toccare dalle loro storie? E, guardando a me stesso, se mi trovo nella sofferenza, ascolto Gesù che mi vuole portare fuori dal recinto della mia insofferenza e mi invita a ripartire, ad andare oltre, ad amare? A volte, un bel modo per aiutare un’altra persona è quello di non dargli subito ciò che chiede, ma di accompagnarla, di invitarla ad amare, a farsi dono. Perché è in questo modo che, attraverso il bene che potrà fare agli altri, scoprirà i suoi fiumi di acqua viva, scoprirà il tesoro unico e prezioso che è.
               Cari fratelli e sorelle indigeni, sono venuto pellegrino anche per dirvi quanto siete preziosi per me e per la Chiesa. Desidero che la Chiesa sia intrecciata tra di noi, come stretti e uniti sono i fili delle fasce colorate che tanti di voi indossano. Il Signore ci aiuti ad andare avanti nel processo di guarigione, verso un avvenire sempre più risanato e rinnovato. Credo sia anche il desiderio delle vostre nonne e dei vostri nonni, dei nostri nonni e delle nostre nonne. I nonni di Gesù, i santi Gioacchino e Anna, benedicano il nostro cammino.




https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/07/26/0559/01127.html
« Последнее редактирование: 27 Июля, 2022, 22:32:46 »

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #458 : 28 Июля, 2022, 21:28:26 »
             Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.
                            Александр Набабкин-Романюк.


               Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Canada – Santa Messa presso il Santuario
                                             di Sainte-Anne-de-Beaupré, 28.07.2022


              Il viaggio dei discepoli di Emmaus, alla conclusione del Vangelo di san Luca, è un’immagine del nostro cammino personale e di quello della Chiesa. Sulla strada della vita, e della vita di fede, mentre portiamo avanti i sogni, i progetti, le attese e le speranze che abitano il nostro cuore, ci scontriamo anche con le nostre fragilità e debolezze, sperimentiamo sconfitte e delusioni, e a volte restiamo prigionieri di un senso di fallimento che ci paralizza. Il Vangelo ci annuncia che, proprio in quel momento, non siamo soli: il Signore ci viene incontro, si affianca a noi, cammina sulla nostra stessa strada con la discrezione di un viandante gentile che vuole riaprire i nostri occhi e far ardere di nuovo il nostro cuore. E quando il fallimento lascia spazio all’incontro con il Signore, la vita rinasce alla speranza e possiamo riconciliarci: con noi stessi, con i fratelli e con Dio.                 Seguiamo allora l’itinerario di questo cammino che potremmo intitolare: dal fallimento alla speranza.
                 Anzitutto c’è il senso del fallimento, che abita il cuore di questi due discepoli dopo la morte di Gesù. Avevano inseguito un sogno con entusiasmo. In Gesù avevano riposto tutte le loro speranze e i loro desideri. Ora, dopo la scandalosa morte in croce, voltano le spalle a Gerusalemme per ritornare a casa, alla vita di prima. Il loro è un viaggio di ritorno, come per voler dimenticare quell’esperienza che ha riempito di amarezza i loro cuori, quel Messia messo a morte come un malvivente sulla croce. Se ne tornano a casa abbattuti, «col volto triste» (Lc 24,17): le aspettative che avevano coltivato sono cadute nel nulla, le speranze in cui avevano creduto sono andate in frantumi, i sogni che avrebbero voluto realizzare lasciano il posto alla delusione e all’amarezza.
                 Questa è un’esperienza che riguarda anche la nostra vita e lo stesso cammino spirituale, in tutte quelle occasioni in cui siamo costretti a ridimensionare le nostre attese e a fare i conti con le ambiguità della realtà, con le oscurità della vita, con le nostre debolezze. Ci succede ogni volta che i nostri ideali si scontrano con le delusioni dell’esistenza e i nostri propositi vengono disattesi a motivo delle nostre fragilità; quando coltiviamo progetti di bene ma poi non abbiamo la capacità di attuarli (cfr Rm 7,18); quando nelle attività che portiamo avanti o nelle nostre relazioni prima o poi facciamo l’esperienza di qualche sconfitta, di qualche errore, di un fallimento, di una caduta, mentre vediamo crollare ciò in cui avevamo creduto o ci eravamo impegnati, mentre ci sentiamo schiacciati dal nostro peccato e dai sensi di colpa.
                E questo è ciò che accadde ad Adamo ed Eva, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il loro peccato non solo li ha allontanati da Dio, ma li ha resi distanti tra loro: riescono solo ad accusarsi a vicenda. E lo vediamo anche nei discepoli di Emmaus, il cui malessere per aver visto crollare il progetto di Gesù lascia spazio solo a una sterile discussione. E ciò può verificarsi anche nella vita della Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore che i due di Emmaus rappresentano. Pur essendo la comunità del Risorto, può trovarsi a vagare smarrita e delusa dinanzi allo scandalo del male e alla violenza del Calvario. Essa allora non può fare altro che stringere tra le mani il senso del fallimento e chiedersi: che cosa è successo? Perché è successo? Come è potuto succedere?
              Fratelli e sorelle, sono le domande che ciascuno di noi pone a sé stesso; e sono anche gli interrogativi scottanti che questa Chiesa pellegrina in Canada sta facendo risuonare nel suo cuore in un faticoso cammino di guarigione e di riconciliazione. Anche noi, dinanzi allo scandalo del male e al Corpo di Cristo ferito nella carne dei nostri fratelli indigeni, siamo piombati nell’amarezza e avvertiamo il peso del fallimento. Permettetemi allora di unirmi spiritualmente a tanti pellegrini che qui percorrono la “scala santa”, che evoca quella salita da Gesù al pretorio di Pilato, e di accompagnarvi come Chiesa in queste domande che nascono dal cuore pieno di dolore: perché è accaduto tutto questo? Come ciò è potuto avvenire nella comunità di coloro che seguono Gesù?
                Qui, però, dobbiamo stare attenti alla tentazione della fuga, presente nei due discepoli del Vangelo: fuggire, fare la strada all’indietro, scappare dal luogo dove i fatti sono avvenuti, tentare di rimuoverli, cercare un “posto tranquillo” come Emmaus pur di dimenticarli. Non c’è cosa peggiore, dinanzi ai fallimenti della vita, che quella di fuggire per non affrontarli. È una tentazione del nemico, che minaccia il nostro cammino spirituale e il cammino della Chiesa: vuole farci credere che quel fallimento sia ormai definitivo, vuole paralizzarci nell’amarezza e nella tristezza, convincerci che non c’è più niente da fare e che quindi non vale la pena di trovare una strada per ricominciare.
                 Il Vangelo ci rivela, invece, che proprio nelle situazioni di delusione e di dolore, proprio quando sperimentiamo attoniti la violenza del male e la vergogna della colpa, quando il fiume della nostra vita si inaridisce nel peccato e nel fallimento, quando spogliati di tutto ci sembra di non avere più nulla, proprio lì il Signore ci viene incontro e cammina con noi. Sulla strada verso Emmaus, Egli si affianca con discrezione per accompagnare e condividere i passi rassegnati di quei discepoli tristi. E che cosa fa? Non offre generiche parole di incoraggiamento, espressioni di circostanza o facili consolazioni ma, svelando nelle sante Scritture il mistero della sua morte e risurrezione, illumina la loro storia e gli eventi che hanno vissuto. Così apre i loro occhi a un nuovo sguardo sulle cose. Anche noi che condividiamo l’Eucaristia in questa Basilica possiamo rileggere molti avvenimenti della storia. Su questo stesso terreno vi furono in precedenza tre templi; e vi furono coloro che non fuggirono davanti alle difficoltà, tornarono a sognare malgrado gli errori propri e altrui; non si lasciarono vincere dal devastante incendio di cent’anni fa e, con coraggio e creatività, costruirono questo tempio. E quanti condividono l’Eucaristia dalle vicine Pianure di Abramo, possono pure percepire l’animo di quelli che non si lasciarono prendere in ostaggio dall’odio della guerra, dalla distruzione e dal dolore, ma seppero nuovamente progettare una città e un paese.
                  Infine, davanti ai discepoli di Emmaus, Gesù spezza il pane, riaprendo i loro occhi e mostrandosi ancora una volta come il Dio dell’amore che offre la vita per i suoi amici. In questo modo, li aiuta a riprendere il cammino con gioia, a ricominciare, a passare dal fallimento alla speranza. Fratelli e sorelle, il Signore vuole fare lo stesso anche con ciascuno di noi e con la sua Chiesa. Come possono essere riaperti i nostri occhi, come può il cuore ardere ancora in noi per il Vangelo? Che cosa fare mentre siamo afflitti da diverse prove spirituali e materiali, mentre cerchiamo la strada verso una società più giusta e fraterna, mentre desideriamo riprenderci dalle nostre delusioni e stanchezze, mentre speriamo di guarire dalle ferite del passato e riconciliarci con Dio e tra di noi?
                C’è una sola strada, una sola via: è la via di Gesù, è la via che è Gesù (cfr Gv 14,6). Crediamo che Gesù si affianca al nostro cammino, lasciamoci incontrare da Lui; lasciamo che sia la sua Parola a interpretare la storia che viviamo come singoli e come comunità e a indicarci la via per guarire e per riconciliarci; spezziamo insieme con fede il Pane eucaristico, perché attorno a quella mensa possiamo riscoprirci figli amati del Padre, chiamati a essere fratelli tutti. Gesù, spezzando il pane, conferma ciò che già i discepoli hanno ricevuto come testimonianza dalle donne e a cui non hanno voluto credere: che è risorto! In questa Basilica, dove ricordiamo la madre della Vergine Maria, e in cui si trova anche la cripta dedicata all’Immacolata Concezione, non possiamo che evidenziare il ruolo che Dio ha voluto dare alla donna nel suo piano di salvezza. Sant’Anna, la Santissima Vergine Maria, le donne del mattino di Pasqua ci indicano una nuova via di riconciliazione: la tenerezza materna di tante donne ci può accompagnare – come Chiesa – verso tempi nuovamente fecondi, in cui possiamo lasciare alle spalle tanta sterilità e tanta morte, e rimettere al centro Gesù, il Crocifisso Risorto.
               Infatti, al centro delle nostre domande, delle fatiche che portiamo dentro, della stessa vita pastorale, non possiamo mettere noi stessi e il nostro fallimento; dobbiamo mettere Lui, il Signore Gesù. Al cuore di ogni cosa mettiamo la sua Parola, che illumina gli avvenimenti e ci restituisce occhi per vedere la presenza operante dell’amore di Dio e la possibilità del bene anche nelle situazioni apparentemente perdute; mettiamo il Pane dell’Eucaristia, che Gesù spezza ancora per noi oggi, per condividere la sua vita con la nostra, abbracciare le nostre debolezze, sorreggere i nostri passi stanchi e donarci la guarigione del cuore. E, riconciliati con Dio, con gli altri e con noi stessi, possiamo anche noi diventare strumenti di riconciliazione e di pace nella società in cui viviamo.
                Signore Gesù, nostra via, nostra forza e consolazione, ci rivolgiamo a Te come i discepoli di Emmaus: «Resta con noi, Signore, perché si fa sera» (Lc 24,29). Resta con noi, Signore, quando tramonta la speranza e scende oscura la notte della delusione. Resta con noi perché con Te, Gesù, la direzione del cammino cambia marcia e dai vicoli ciechi della sfiducia rinasce lo stupore della gioia. Resta con noi, Signore, perché con Te la notte del dolore si cambia nel mattino radioso della vita. Semplicemente diciamo: resta con noi, Signore, perché se Tu cammini al nostro fianco il fallimento si apre alla speranza di una vita nuova. Amen.
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/07/28/0562/01129.html

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #459 : 30 Июля, 2022, 00:34:17 »
Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана https://press.vatican.va/ предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.   
                        Александр Набабкин-Романюк.

                  Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Canada – Incontro con una Delegazione di Indigeni
                                        presenti in  Québec presso l’Arcivescovado, 29.07.2022

                          Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
                       Vi saluto cordialmente e vi ringrazio per essere venuti qui da diversi luoghi. La vastità di questa terra fa pensare alla lunghezza del percorso di guarigione e riconciliazione che stiamo affrontando insieme. In effetti, la frase che ci ha accompagnato da marzo, da quando i delegati indigeni mi hanno fatto visita a Roma, e che caratterizza la mia visita qui tra di voi, è Camminare Insieme: Walking Together / Marcher Ensemble.
                         Sono venuto in Canada come amico per incontrarvi, per vedere, ascoltare, imparare, e apprezzare come vivono le popolazioni indigene di questo Paese. Non sono venuto come turista, sono venuto come fratello, a scoprire in prima persona i frutti buoni e cattivi prodotti dai membri della famiglia cattolica locale nel corso degli anni. Sono venuto in spirito penitenziale, per esprimervi il dolore che portiamo nel cuore come Chiesa per il male che non pochi cattolici vi hanno arrecato appoggiando politiche oppressive e ingiuste nei vostri riguardi. Sono venuto come pellegrino, con le mie limitate possibilità fisiche, per muovere ulteriori passi in avanti con voi e per voi: perché si prosegua nella ricerca della verità, perché si progredisca nel promuovere percorsi di guarigione e di riconciliazione, perché si vada avanti a seminare speranza per le future generazioni di indigeni e di non indigeni, che desiderano vivere insieme fraternamente, in armonia.
                       Ma vorrei dirvi, ormai prossimo alla conclusione di questo intenso pellegrinaggio, che, se sono venuto animato da questi desideri, ritorno a casa molto più arricchito, perché porto nel cuore il tesoro impareggiabile fatto di persone e di popolazioni che mi hanno segnato; di volti, sorrisi e parole che rimangono dentro; di storie e luoghi che non potrò dimenticare; di suoni, colori ed emozioni che vibrano fortemente in me. Davvero posso dire che, mentre vi ho fatto visita, sono state le vostre realtà, le realtà indigene di questa terra, a visitare il mio animo: mi sono entrate dentro e mi accompagneranno sempre. Oso dire, se me lo permettete, che ora, in un certo senso, mi sento anch’io parte della vostra famiglia, e ne sono onorato. Il ricordo della festa di Sant’Anna, vissuta insieme a diverse generazioni e a tante famiglie indigene, rimarrà indelebile nel mio cuore. In un mondo purtroppo così spesso individualista, quanto è prezioso quel senso di familiarità e di comunità che presso di voi è tanto genuino! E quanto è importante coltivare bene il legame tra i giovani e gli anziani, e custodire un rapporto sano e armonioso con l’intero creato!
                     Cari amici, vorrei affidare al Signore quanto abbiamo vissuto in questi giorni e il prosieguo del cammino che ci attende; e affidarli anche alla cura premurosa di chi sa custodire ciò che nella vita conta: penso alle donne, e a tre donne in particolare. Anzitutto a Sant’Anna, di cui ho potuto avvertire la tenerezza e la protezione, venerandola insieme a un popolo di Dio che riconosce e onora le nonne. In secondo luogo penso alla Santa Madre di Dio: nessuna creatura merita più di lei di essere definita pellegrina, perché sempre, anche oggi, anche ora, è in cammino: in cammino tra Cielo e terra, per prendersi cura di noi per conto di Dio e per condurci per mano a suo Figlio. E infine, la mia preghiera e il mio pensiero sono andati spesso in questi giorni a una terza donna dalla presenza mite che ci ha accompagnati, e i cui resti sono conservati non lontano da qui: mi riferisco a santa Kateri Tekakwitha. La veneriamo per la sua vita santa, ma non potremmo pensare che la sua santità di vita, connotata da una dedizione esemplare nella preghiera e nel lavoro, nonché dalla capacità di sopportare con pazienza e dolcezza tante prove, sia stata resa possibile anche da certi tratti nobili e virtuosi ereditati dalla sua comunità e dall’ambiente indigeno in cui crebbe?
                     Queste donne possono aiutare a mettere insieme, a tornare a tessere una riconciliazione che garantisca i diritti dei più vulnerabili e sappia guardare la storia senza rancori né dimenticanze. Due di loro, la Santissima Vergine Maria e Santa Kateri, hanno ricevuto da Dio un progetto di vita e, senza domandare ad alcun uomo, hanno detto “sì” con coraggio. Queste donne avrebbero potuto rispondere male a tutti coloro che si opponevano a quel progetto, oppure rimanere soggette alle norme patriarcali del tempo e rassegnarsi, senza lottare per i sogni che Dio stesso aveva impresso nelle loro anime. Non fecero questa scelta, ma con mansuetudine e fermezza, con parole profetiche e gesti decisi si aprirono la strada e adempirono ciò a cui erano state chiamate. Che esse benedicano il nostro cammino comune, intercedano per noi, e per questa grande opera di guarigione e riconciliazione tanto gradita a Dio. Io vi benedico di cuore. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/07/29/0565/01131.html