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Автор Тема: Новости Ватикана  (Прочитано 55700 раз)

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Оффлайн Александр Н-Р.

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Новости Ватикана: L’Udienza Generale, 18.05.2022
« Ответ #390 : 18 Мая, 2022, 13:12:24 »
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Александр Набабкин-Романюк.
L’Udienza Generale, 18.05.2022
[B0369]Catechesi del Santo Padre in lingua italianaSintesi della catechesi e saluti nelle diverse lingue

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla Vecchiaia, ha incentrato la sua riflessione sul tema: Giobbe. La prova della fede, la benedizione dell’attesa (Lettura: Gb 42,1-6.12.16).Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

Catechesi del Santo Padre in lingua italiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il brano biblico che abbiamo ascoltato chiude il Libro di Giobbe, un vertice della letteratura universale. Noi incontriamo Giobbe nel nostro cammino di catechesi sulla vecchiaia: lo incontriamo come testimone della fede che non accetta una “caricatura” di Dio, ma grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto. E Dio alla fine risponde, come sempre in modo sorprendente: mostra a Giobbe la sua gloria ma senza schiacciarlo, anzi, con sovrana tenerezza, come fa Dio, sempre, con tenerezza. Bisogna leggere bene le pagine di questo libro, senza pregiudizi, senza luoghi comuni, per cogliere la forza del grido di Giobbe. Ci farà bene metterci alla sua scuola, per vincere la tentazione del moralismo davanti all’esasperazione e all’avvilimento per il dolore di aver perso tutto.In questo passaggio conclusivo del libro –noi ricordiamo la storia, Giobbe che perde tutto nella vita, perde le ricchezze, perde la famiglia, perde il figlio e perde anche la salute e rimane lì, piagato, in dialogo con tre amici, poi un quarto, che vengono a salutarlo: questa è la storia – e in questo passaggio di oggi, il passaggio conclusivo del libro, quando Dio finalmente prende la parola (e questo dialogo di Giobbe con i suoi amici è come una strada per arrivare al momento che Dio dia la sua parola) Giobbe viene lodato perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio. Dio rimprovera gli amici di Giobbe che presumevano di sapere tutto, sapere di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti. Dio ci preservi da questo pietismo ipocrita e presuntuoso! Dio ci preservi da quella religiosità moralistica e quella religiosità di precetti che ci dà una certa presunzione e porta al fariseismo e all’ipocrisia.Ecco come si esprime il Signore nei loro confronti. Così dice il Signore: «La mia ira si è accesa contro di [voi][…], perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. […]»: questo è quello che dice il Signore agli amici di Giobbe. «Il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe» (42,7-8). La dichiarazione di Dio ci sorprende, perché abbiamo letto le pagine infuocate della protesta di Giobbe, che ci hanno lasciato sgomenti. Eppure – dice il Signore – Giobbe ha parlato bene, anche quando era arrabbiato e anche arrabbiato contro Dio, ma ha parlato bene, perché ha rifiutato di accettare che Dio sia un “Persecutore”, Dio è un’altra cosa.E in premio Dio restituisce a Giobbe il doppio di tutti i suoi beni, dopo avergli chiesto di pregare per quei suoi cattivi amici.Il punto di svolta della conversione della fede avviene proprio al culmine dello sfogo di Giobbe, là dove dice: «Io so che il mio redentore è vivo /e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! /Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, / senza la mia carne, vedrò Dio. /Io lo vedrò, io stesso, / i miei occhi lo contempleranno e non un altro» (19,25-27).

Questo passaggio è bellissimo. A me viene in mente la fine di quell’oratorio geniale di Haendel, il Messia, dopo quella festa dell’Alleluja lentamente il soprano canta questo passaggio: “Io so che il mio Redentore vive”, con pace. E così, dopo tutta questa cosa di dolore e di gioia di Giobbe, la voce del Signore è un’altra cosa. “Io so che il mio Redentore vive”: è una cosa bellissima. Possiamo interpretarlo così: “Mio Dio, io so che Tu non sei il Persecutore. Il mio Dio verrà e mi renderà giustizia”. È la fede semplice nella risurrezione di Dio, la fede semplice in Gesù Cristo, la fede semplice che il Signore sempre ci aspetta e verrà.
La parabola del libro di Giobbe rappresenta in modo drammatico ed esemplare quello che nella vita accade realmente. Cioè che su una persona, su una famiglia o su un popolo si abbattono prove troppo pesanti, prove sproporzionate rispetto alla piccolezza e fragilità umana. Nella vita spesso, come si dice, “piove sul bagnato”. E alcune persone sono travolte da una somma di mali che appare veramente eccessiva e ingiusta. E tante persone sono così.Tutti abbiamo conosciuto persone così. Siamo stati impressionati dal loro grido, ma spesso siamo anche rimasti ammirati di fronte alla fermezza della loro fede e del loro amore nel loro silenzio. Penso ai genitori di bambini con gravi disabilità o a chi vive un’infermità permanente o al familiare che sta accanto... Situazioni spesso aggravate dalla scarsità di risorse economiche. In certe congiunture della storia, questi cumuli di pesi sembrano darsi come un appuntamento collettivo. È quello che è successo in questi anni con la pandemia di Covid-19 e che sta succedendo adesso con la guerra in Ucraina.Possiamo giustificare questi “eccessi” come una superiore razionalità della natura e della storia? Possiamo benedirli religiosamente come giustificata risposta alle colpe delle vittime, che se li sono meritati? No, non possiamo. Esiste una sorta di diritto della vittima alla protesta, nei confronti del mistero del male, diritto che Dio concede a chiunque, anzi, che è Lui stesso, in fondo, a ispirare. Alle volte io trovo gente che mi si avvicina e mi dice: “Ma, Padre, io ho protestato contro Dio perché ho questo problema, quell’altro …”.

Ma, sai, caro, che la protesta è un modo di preghiera, quando si fa così. Quando i bambini, i ragazzi protestano contro i genitori, è un modo per attirare l’attenzione e chiedere che si prendano cura di loro. Se tu hai nel cuore qualche piaga, qualche dolore e ti viene voglia di protestare, protesta anche contro Dio, Dio ti ascolta, Dio è Padre, Dio non si spaventa della nostra preghiera di protesta, no! Dio capisce. Ma sii libero, sii libera nella tua preghiera, non imprigionare la tua preghiera negli schemi preconcetti! La preghiera dev’essere così, spontanea, come quella di un figlio con il padre, che gli dice tutto quello che gli viene in bocca perché sa che il padre lo capisce. Il “silenzio” di Dio, nel primo momento del dramma, significa questo. Dio non si sottrarrà al confronto, ma all’inizio lascia a Giobbe lo sfogo della sua protesta, e Dio ascolta. Forse, a volte, dovremmo imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza. E a Dio non piace quella enciclopedia – chiamiamola così – di spiegazioni, di riflessione che fanno gli amici di Giobbe. Quello è succo di lingua, che non è giusto: è quella religiosità che spiega tutto, ma il cuore rimane freddo. A Dio non piace, questo. Piace più la protesta di Giobbe o il silenzio di Giobbe.
La professione di fede di Giobbe – che emerge proprio dal suo incessante appello a Dio, a una giustizia suprema – si completa alla fine con l’esperienza quasi mistica, direi io, che gli fa dire: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5).Quanta gente, quanti di noi dopo un’esperienza un po’ brutta, un po’ oscura, dà il passo e conosce Dio meglio di prima! E possiamo dire, come Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma adesso ti ho visto, perché tu ho incontrato. Questa testimonianza è particolarmente credibile se la vecchiaia se ne fa carico, nella sua progressiva fragilità e perdita. I vecchi ne hanno viste tantenella vita! E hanno visto anche l’inconsistenza delle promesse degli uomini. Uomini di legge, uomini di scienza, uomini di religione persino, che confondono il persecutore con la vittima, imputando a questa la responsabilità piena del proprio dolore. Si sbagliano!I vecchi che trovano la strada di questa testimonianza, che converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio – c’è un cambiamento, dal risentimento per la perdita verso una tenacia per seguire la promessa di Dio – questi vecchi sono un presidio insostituibile per la comunità nell’affrontare l’eccesso del male. Lo sguardo dei credenti che si rivolge al Crocifisso impara proprio questo. Che possiamo impararlo anche noi, da tanti nonni e nonne, da tanti anziani che, come Maria, uniscono la loro preghiera, a volte straziante, a quella del Figlio di Dio che sulla croce si abbandona al Padre. Guardiamo gli anziani, guardiamo i vecchi, le vecchie, le vecchiette; guardiamoli con amore, guardiamo la loro esperienza personale. Essi hanno sofferto tanto nella vita, hanno imparato tanto nella vita, ne hanno passate tante, ma alla fine hanno questa pace, una pace – io direi – quasi mistica, cioè la pace dell’incontro con Dio, tanto che possono dire “Io ti conoscevo per sentito dire, ma adesso ti hanno visto i miei occhi”. Questi vecchi assomigliano a quella pace del figlio di Dio sulla croce che si abbandona al Padre.

[00771-IT.02] [Testo originale: Italiano]
« Последнее редактирование: 19 Мая, 2022, 21:49:01 »
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Re: Новости Ватикана
« Ответ #391 : 18 Мая, 2022, 19:03:00 »

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALL'ASSOCIAZIONE FAMIGLIA SPIRITUALE CHARLES DE FOUCAULD

Auletta dell'Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 maggio 2022


Cari fratelli e sorelle,
benvenuti! Sono contento di incontrarvi e di condividere con voi la gioia per la canonizzazione di Fratel Carlo. In lui possiamo vedere un profeta del nostro tempo, che ha saputo portare alla luce l’essenzialità e l’universalità della fede.
L’essenzialità, condensando il senso del credere in due semplici parole, in cui c’è tutto: “Iesus – Caritas”; e soprattutto ritornando allo spirito delle origini, allo spirito di Nazaret. Auguro anche a voi, come Fratel Carlo, di continuare a immaginare Gesù che cammina in mezzo alla gente, che porta avanti con pazienza un lavoro faticoso, che vive nella quotidianità di una famiglia e di una città. Quant’è contento il Signore di vedere che lo si imita nella via della piccolezza, dell’umiltà, della condivisione con i poveri! Charles de Foucauld, nel silenzio della vita eremitica, nell’adorazione e nel servizio ai fratelli, scrisse che, mentre «noi siamo portati a mettere al primo posto le opere, i cui effetti sono visibili e tangibili, Dio dà il primo posto all’amore e poi al sacrificio ispirato dall’amore e all’obbedienza derivante dall’amore» (Lettera a Maria de Bondy, 20 maggio 1915). Come Chiesa abbiamo bisogno di tornare all’essenziale, di non smarrirci in tante cose secondarie, con il rischio di perdere di vista la purezza semplice del Vangelo.
E poi l’universalità. Il nuovo Santo ha vissuto il suo essere cristiano come fratello di tutti, a partire dai più piccoli. Non aveva l’obiettivo di convertire gli altri, ma di vivere l’amore gratuito di Dio, attuando “l’apostolato della bontà”. Così scriveva: «Io voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani, ebrei e idolatri a considerarmi come loro fratello, il fratello universale» (Lettera a Maria de Bondy, 7 gennaio 1902). E per farlo aprì le porte della sua casa, perché fosse “un porto” per tutti, “il tetto del buon Pastore”. Vi ringrazio perché portate avanti questa testimonianza, che fa tanto bene, specialmente in un tempo in cui si rischia di chiudersi nei particolarismi, di accrescere le distanze, di perdere di vista il fratello. Lo vediamo purtroppo nella cronaca di ogni giorno.
Fratel Carlo, nelle fatiche e nella povertà del deserto, raccontava: «La mia anima è sempre nella gioia» (Lettera a don Huvelin, 1° febbraio 1898). Care sorelle e fratelli, la Madonna vi conceda di custodire e alimentare la medesima gioia, perché la gioia è la testimonianza più limpida che possiamo dare a Gesù in ogni luogo e in ogni tempo.
E inoltre vorrei ringraziare San Charles de Foucauld, perché la sua spiritualità mi ha fatto tanto bene quando studiavo la teologia, un tempo di maturazione e anche di crisi. Mi è arrivata tramite padre Paoli e tramite i libri di Voillaume, che io leggevo continuamente. Mi ha aiutato tanto a superare le crisi e a trovare una strada di vita cristiana più semplice, meno pelagiana, più vicina al Signore. Ringrazio il Santo e do testimonianza di questo, perché mi ha fatto tanto bene.
Buona missione! Vi benedico e vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me. Grazie!
https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/may/documents/20220518-fam-de-foucauld.html
« Последнее редактирование: 22 Мая, 2022, 21:19:30 »

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #392 : 19 Мая, 2022, 17:42:05 »
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Александр Набабкин-Романюк



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA COMUNITÀ DEL PONTIFICIO COLLEGIO PIO ROMENO

Sala del Concistoro
Giovedì, 19 maggio 2022

Cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di accogliervi in occasione dell’85° anniversario della fondazione del Collegio Pio Romeno. Saluto tutti voi, Superiori della Congregazione per le Chiese Orientali, sacerdoti, studenti e dipendenti del Collegio, e ringrazio il Rettore, P. Gabriel, per le parole che mi ha rivolto a nome vostro.
Due anni fa, durante la Divina Liturgia che ho presieduto a Blaj, al Campo della Libertà, incoraggiai a resistere alle nuove ideologie che cercano di imporsi e di sradicare i popoli, a volte in modo subdolo, dalle loro tradizioni religiose e culturali. Durante quella celebrazione proclamai Beati sette Vescovi martiri, additandoli come esempi a tutto il popolo romeno. Voi, qui a Roma, nella città che custodisce la testimonianza di Pietro, Paolo e di molti altri martiri, potete riscoprire in modo compiuto le vostre radici, attraverso lo studio e la meditazione. È un’opportunità preziosa poter riflettere su come si sono formate le radici. Durante la seconda guerra mondiale, quando la Chiesa greco-cattolica romena non aveva più Vescovi attivi, in quanto erano stati uccisi o incarcerati, il Vescovo Ioan Ploscaru di Lugoj, prigioniero per quindici anni, scrisse nel suo diario: «I sacerdoti e i Vescovi della Chiesa greco-cattolica hanno considerato questo periodo come il più prezioso della loro esistenza. È una grazia poter offrire a Dio le proprie sofferenze e la testimonianza della propria fede, anche a costo della vita». Chi dà la vita per il Vangelo pensa così, abbraccia la risposta di Dio al male del mondo: consegna sé stesso, imita l’amore mite e gratuito del Signore Gesù, che si offre per i vicini e per i lontani. Questa è la sorgente che ha permesso alle radici di innestarsi nella terra, di crescere robuste e di portare frutto. E voi siete quel frutto.
Cari amici, senza alimentare le radici ogni tradizione religiosa perde fecondità. Si verifica infatti un processo pericoloso: con il passare del tempo ci si focalizza sempre più su sé stessi, sulla propria appartenenza, perdendo il dinamismo delle origini. Allora ci si concentra su aspetti istituzionali, esteriori, sulla difesa del proprio gruppo, della propria storia e dei propri privilegi, perdendo, magari senza accorgersene, il sapore del dono. Restando nella metafora, è come soffermarsi a guardare il tronco, i rami e le foglie, dimenticandosi che tutto è sostenuto dalle radici. Ma solo se le radici sono ben innaffiate l’albero continua a crescere rigoglioso; altrimenti si ripiega su sé stesso e muore. Questo accade quando ci si adagia e si viene intaccati dal virus della mondanità spirituale, che è il peggiore male che possa accadere nella Chiesa: la mondanità spirituale. Allora si appassisce in una vita mediocre, autoreferenziale, fatta di arrivismi, scalate, ricerca di soddisfazioni personali e facili piaceri. L’atteggiamento che cerca di arrampicarsi, di avere potere, di avere denaro, di avere fama, di essere comodi, di far carriera. Questo è voler crescere senza le radici. È vero che ci sono altri che vanno alle radici per nascondersi lì, perché hanno paura della crescita. È vero. Alle radici si va per prendere la forza, prendere il succo e continuare a crescere. Non si può vivere nelle radici e non si può vivere nell’albero senza le radici. La tradizione è un po’ il messaggio che noi riceviamo dalle radici: è quello che ti dà la forza per andare avanti, oggi, senza ripetere le cose di ieri, ma con la stessa forza della prima ispirazione.
Qui a Roma, oltre ad approfondire le radici, avete la possibilità di pensare a come attualizzarle, perché il vostro ministero non sia una sterile ripetizione del passato o un mantenimento del presente, ma sia fecondo, che guardi avanti. E questo è il segreto della fecondità è lo stesso di quei Vescovi e sacerdoti: cioè, il dono della vita, il Vangelo da mettere in pratica con cuore di pastori. Penso al Cardinale Mureşan, che tra pochi giorni compirà 91 anni: anni di servizio nel sacerdozio, iniziato quasi sessant’anni fa in un umile seminterrato, dopo la liberazione dal carcere dei Vescovi sopravvissuti. Pastori poveri di cose, ma ricchi di Vangelo. Siate così, apostoli gioiosi della fede che avete ereditato, disposti a non trattenere nulla per voi stessi e pronti a riconciliarvi con tutti, a perdonare e a tessere unità, superando ogni livore e vittimismo. Allora anche il vostro seme sarà evangelico e porterà frutto. Senza dimenticarsi del passato ma vivere nel presente, con fecondità.
Dopo le radici, vorrei dirvi qualcosa anche sul terreno. Mentre studiate, non dimenticate il terreno buono della fede. È quello lavorato dai vostri nonni, dai vostri genitori, quello del santo Popolo fedele di Dio. Mentre vi preparate a trasmettere la fede, pensate a loro e ricordate che il Vangelo non si annuncia con parole complicate, ma nella lingua della gente, come ci ha insegnato Gesù, la Sapienza incarnata: si trasmette “in dialetto”, nel dialetto del popolo di Dio, quello che capisce il popolo, con semplicità. Per favore, state attenti a non diventare “chierici di Stato”, siate pastori del popolo: vicinanza al popolo dal quale voi venite. Paolo diceva a Timoteo: “Ricordati di tua mamma e di tua nonna”. Le tue radici, il popolo al quale tu appartieni. E il profeta Samuele diceva al re Davide: “Ricordati che sei stato eletto proprio dal gregge: non dimenticarti il gregge dal quale tu sei stato eletto”, è la tua prima appartenenza. L’autore della Lettera agli Ebrei ci raccomanda: “Ricordatevi dei vostri antenati, coloro che vi hanno annunciato la Parola di Dio”. Per favore, non dimenticate il popolo dal quale voi venite. Non siate preti di laboratorio teologico, no. Preti dal popolo, con l’odore del popolo, con l’odore del gregge. Ho detto che il Vangelo non si annuncia con parole complicate ma “in dialetto”. Il terreno buono è anche quello che vi fa toccare la carne di Cristo, presente nei poveri, nei malati, nei sofferenti, nei piccoli e nei semplici, in chi soffre e nel quale c’è Gesù, negli scartati, in questa cultura dello scarto nella quale ci tocca vivere. Penso in particolare ai tanti rifugiati dalla vicina Ucraina che anche la Romania sta accogliendo e assistendo.
Vorrei dire una parola anche a voi, cari studenti di lingua araba appartenenti all’ex-Collegio Sant’Efrem. Da una decina d’anni formate tutti un’unica comunità. La vostra condivisione di vita non deve essere sentita come una diminuzione dei rispettivi tratti distintivi, ma come una feconda promessa di futuro. I collegi nazionali, orientali e latini, non devono essere delle “enclavi” entro cui rientrare dopo la giornata di studi per vivere come se si fosse in patria, ma devono essere dei laboratori di comunione fraterna, dove sperimentare l’autentica cattolicità, l’universalità della Chiesa. Questa universalità è l’aria buona da respirare per non venire risucchiati in particolarismi che frenano l’evangelizzazione.
Le radici, il terreno, l’aria buona. Vi auguro di coltivare così la vostra vocazione negli anni romani. E vi chiedo per favore di pregare per me. Adesso benedico di cuore voi e i vostri cari. Grazie!

https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/may/documents/20220519-collegio-pio-romeno.html
« Последнее редактирование: 22 Мая, 2022, 21:20:52 »

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #393 : 19 Мая, 2022, 18:53:58 »
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Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al Convegno Internazionale “Adamo, dove sei”? La questione antropologica oggi in occasione del 50° anniversario di fondazione dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana,
19.05.2022
Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato ai partecipanti al Convegno Internazionale “Adamo, dove sei?” La questione antropologica oggi, organizzato in occasione del 50° anniversario di fondazione dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana, che ha luogo oggi, presso l’Aula Magna dell’Ateneo:
Messaggio del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
Vi siete riuniti oggi nella Pontificia Università Gregoriana per celebrare il 50° anniversario di fondazione dell’Istituto di Psicologia. A tutti voi rivolgo di cuore il mio saluto e, augurando un proficuo incontro, esprimo viva riconoscenza a quanti sono stati gli iniziatori e gli artefici di tale impresa accademica.
L’Istituto di Psicologia nacque sull’onda dell’aggiornamento ecclesiale avviato dal Concilio Vaticano II, che esortava: «Nella cura pastorale si conoscano sufficientemente e si faccia uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia, cosicché i fedeli siano condotti a una più pura e più matura vita di fede» (Cost. past. Gaudium et spes, 62). Nel mezzo secolo trascorso avete accolto questa sfida, portando avanti con coraggio l’approccio interdisciplinare nella cura pastorale dei fedeli, sia nel campo della ricerca e delle numerose pubblicazioni, sia nella prassi pastorale e formativa. Seguendo il principio ignaziano della cura personalis, avete preparato specialisti capaci di integrare spiritualità e psicologia nelle attività apostoliche ed educative, in diversi contesti geografici e culturali della Chiesa. Come unità accademica dell’Università Gregoriana avete già formato nella scienza e nell’arte della cura personale più di mezzo migliaio di uomini e donne, provenienti da molteplici culture nei diversi continenti. Essi, a loro volta, in collaborazione con il vostro Istituto, in questi decenni hanno dato origine a una quindicina di centri specializzati per formatori, in diverse regioni dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e in Europa.
Il convegno odierno non mira, però, a contemplare il passato, ma, ricevendone la preziosa eredità, è volto ad affrontare le sfide del futuro. La domanda posta dal tema: “Adamo, dove sei?” (cfr Gen 3,9), nella situazione attuale del mondo risuona con grande forza, ci interroga, ci scuote e ci invita a un serio esame di coscienza e alla conversione. Il mondo attraversa oggi una profonda crisi antropologica (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55), una crisi di senso a cui la Chiesa ha il dovere di rispondere in modo adeguato ed efficace. Davanti ai nostri occhi si consuma ancora una volta l’immane tragedia della guerra, che è la peggiore conseguenza della distruttività umana, individuale e sistemica, che non viene presa sufficientemente sul serio e non viene dovutamente curata ed estirpata alla radice. Così, davanti all’imperativo di imparare a dire no al male, di sollevare quanti sono feriti o offesi nella loro dignità e all’urgenza di formare persone capaci a loro volta di forgiare formatori con una solida preparazione antropologica, la Chiesa continua ad aspettarsi, dal vostro Istituto, un servizio di qualità basato sulle conoscenze della psicologia con gli apporti della teologia e della filosofia. La vostra missione è a servizio della promozione della persona umana e del continuo processo di evangelizzazione, che si realizza traducendo nel concreto dell’esistenza umana il dono supremo della Redenzione compiuto dal Signore Gesù Cristo.
Auspico pertanto che le celebrazioni del 50º anniversario dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana rinnovino in voi l’impegno della ricerca, dell’insegnamento e della cura per le persone. Così voi siete al servizio della Chiesa in uscita verso le periferie esistenziali degli uomini e delle donne di oggi, nella diversità delle loro culture ma accomunati dal bisogno di sostegno e slancio per affrontare i disagi e le sfide della vita. Vi ringrazio per questo vostro contributo, che corrisponde alla missione propria della Pontificia Università Gregoriana, al servizio della missione della Chiesa. Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga.
Roma, San Giovanni in Laterano, 14 maggio 2022
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/05/19/0376/00788.html
« Последнее редактирование: 22 Мая, 2022, 21:21:53 »

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Re: Новости Ватикана
« Ответ #394 : 21 Мая, 2022, 15:07:27 »
                  Дорогие друзья, к сожалению, с мая полная информация сайтом Ватикана  https://press.vatican.va/  предлагается без возможности его сразу перевести в браузере гуглхром (в их сайт вставили блокировку на эту встроенную в браузер опцию, о чем рассказано здесь: https://forum.oreola.org/index.php/topic,2998.msg38124.html#msg38124). В то же время в связи с тем, что "избранная информация" на их новостном сайте https://www.vaticannews.va/, где есть и адаптированный русский перевод, существенно урезается и даже порою искажается, считаем правильным и целесообразным впредь предлагать вам лишь текст на языке оригинала. Однако при желании и навыке, вы сумеете самостоятельно найти способы как его перевести, в том числе прямо здесь, на нашей странице, где данная функция работает исправно: нажимаете правой кнопкой на текст, и в меню выбираете "перевести на русский". Такова будет наша ответная мера: просто, но результативно. Спасибо за понимание и просим простить за неудобства, надеемся, что они временные. Пока будем считать, что Ватикан просто негласно поддержал какие-то санкции и проблема будет вскорости устранена его собственными силами, так как это в его же интересах.  Данный вводный текст будет вставляться впредь перед каждой их публикацией, как напоминание причин.
Александр Набабкин-Роман
юк.

                                        DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
                                        AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE
                                          DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

Sala del Concistoro
Sabato, 21 maggio 2022
Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio il Superiore Generale per le sue parole, anche per il “Lolo Kiko” [saluto filippino: “nonno Francesco”], e formulo i migliori auguri a lui e al suo consiglio. Sono contento di incontrarvi in occasione del vostro 46° Capitolo Generale, che ha per tema “Costruire nuove strade per trasformare vite”. È bello intendere il Capitolo così, camminando, come un cantiere di nuove strade, che conducano incontro ai fratelli, specialmente ai più poveri. Ma noi sappiamo che la “Via”, la strada veramente nuova, è Gesù Cristo: seguendo Lui, camminando con Lui, la nostra vita viene trasformata, e diventiamo a nostra volta lievito, sale, luce.
Per voi, secondo il carisma di San Giovanni Battista de la Salle, queste “nuove strade” sono anzitutto percorsi di educazione, da realizzare nelle scuole, nei collegi, nelle università che portate avanti in circa cento Paesi nei quali siete presenti. Una bella responsabilità! Ne ringrazio con voi il Signore, perché il lavoro educativo è un grande dono prima di tutto per chi lo compie: è un lavoro che chiede molto, ma che dà molto! La relazione costante con gli educatori, con i genitori, e specialmente con i ragazzi e i giovani è una fonte sempre viva di umanità, pur con tutte le fatiche e le problematiche che comporta.
In questa relazione, in questo cammino che fate con loro, voi offrite i valori della vostra ricca tradizione pedagogica: educate alla responsabilità, alla creatività, alla convivenza, alla giustizia, alla pace; educate alla vita interiore, ad essere aperti al trascendente, al senso dello stupore e della contemplazione di fronte al mistero della vita e del creato. Tutto questo voi lo vivete e lo interpretate in Cristo, e lo traducete in pienezza di umanità. Mi viene in mente il motto di San Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis: “L’uomo è la via della Chiesa”. Voi attuate questo motto nella missione educativa. È il vostro modo di realizzare quello che scrive San Paolo: “formare Cristo in voi” (cfr Gal 4,19). È il vostro apostolato, educare così, il vostro apporto specifico all’evangelizzazione: far crescere l’umano secondo Cristo. In questo senso le vostre scuole sono “cristiane”, non per un’etichetta esteriore, ma perché vanno su questa strada.
Siamo consapevoli che il mondo sta vivendo un’emergenza educativa. Si è rotto il patto educativo, è rotto, e adesso lo Stato, gli educatori e la famiglia sono separati. Dobbiamo cercare un nuovo patto che sia comunicazione, lavorare insieme. Questa emergenza educativa è resa più acuta dalle conseguenze della pandemia. Le due grandi sfide del nostro tempo: la sfida della fraternità e la sfida della cura della casa comune, non possono trovare risposta se non attraverso l’educazione. Entrambe sono anzitutto sfide educative. E grazie a Dio la comunità cristiana non solo ne è consapevole, ma è impegnata in questo lavoro, da tempo sta cercando di “costruire nuove strade per trasformare” lo stile di vita. E voi, fratelli, fate parte di questo cantiere, anzi, siete in prima linea, educando a passare da un mondo chiuso a un mondo aperto; da una cultura dell’usa-e-getta a una cultura della cura; da una cultura dello scarto a una cultura dell’integrazione; dalla ricerca degli interessi di parte alla ricerca del bene comune. Come educatori voi sapete bene che questa trasformazione deve partire dalle coscienze, oppure sarà solo di facciata. E sapete anche che non potete fare questo lavoro da soli, ma cooperando in “alleanza educativa” con le famiglie, con le comunità e le aggregazioni ecclesiali, con le realtà formative presenti nel territorio.
Questo, cari fratelli, è il vostro campo di lavoro. Ma per essere buoni operai, non dovete trascurare voi stessi! Non potete dare ai giovani quello che non avete dentro di voi. L’educatore cristiano, alla scuola di Cristo, è anzitutto testimone, ed è maestro nella misura in cui è testimone. Non ho niente da insegnarvi in questo, ma solo, come fratello, voglio ricordarvelo: testimonianza. E soprattutto prego per voi, perché siate fratelli non solo di nome ma di fatto. E perché le vostre scuole siano cristiane non di nome, ma di fatto.
Grazie per quello che siete e che fate! Andate avanti con la gioia di evangelizzare educando e di educare evangelizzando. Benedico voi e tutte le vostre comunità. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
      https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/may/documents/20220521-fratelli-scuole-cristiane.html
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